Ferdinando Di Paola, attualmente si definisce “nonno a tempo pieno” ha avuto una vita politica attiva,
quasi frenetica, ed una notevole esperienza come amministratore. Come è cambiata Teramo negli ultimi anni? “La differenza tra ieri e oggi è che in passato ognuno aveva le proprie idee ed ideali e tutti contribuivano al dialogo, spesso molto acceso, ma sempre costruttivo. La prima sede di confronto era la sede di partito, nel mio caso la Dc. Ogni proposta, che riguardasse la crescita della città, un problema viario o sociale, veniva dibattuta a lungo e con accanimento. Sempre però si arrivava ad una sintesi. E questo era davvero molto importante. Quando poi, ci si trovava a deliberare in consiglio comunale il discorso diventava più semplice, avendo avuto il contrasto a monte. Sono convinto che ognuno di noi abbia delle idee, alcuni più altri meno, ma tutti contribuiscono alla formazione e al miglioramento del risultato. Una volta nel confronto ognuno riusciva a cedere un po’ sulle proprie posizioni per il bene superiore e comune. Il dialogo era parte essenziale di un discorso politico. Questo avveniva perché noi, che oggi siamo anziani, venivamo da un altro tipo di vita, da un altro concetto di rappresentarci. Uscivamo tutti da una guerra ed eravamo tutti figli di gente che aveva dovuto patire molto per poter sopravvivere. Ci si contentava del poco che si aveva, si rinunciava al superfluo”. Oggi molti si improvvisano amministratori. La formazione in passato era importante? “Nessuno di noi era improvvisato. Dico questo, forse sono migliori gli uomini di oggi, ma noi venivamo tutti da un percorso e da una scuola lunga e severa. Io venivo dalla parrocchia, dal ricreatorio e dal sociale, sono stato anche presidente delle Acli, un tempo realtà molto importante. Mi occupavo di artigiani, ho diretto un ente mutualistico di artigiani. Di conseguenza, ero inserito in un contesto non di élite, ma sicuramente concreto, di gente comune. Il tutto si consolidava, sempre, nelle sedi di partito. Oggi i partiti non esistono più. Noi, di vecchio stampo, credevamo in qualcosa, io di formazione cattolica credevo in un certo tipo di vita. Ognuno aveva i propri ideali, chi di formazione socialista, chi comunista. Spesso avversari politici, ma solo politici. Nel quotidiano ci si stimava e rispettava profondamente. L’opposizione era una classe politica molto preparata e seria, che sulle singole pratiche prese in esame in consiglio comunale, preparava argomentazioni valide. I consigli comunali potevano protrarsi per ore. Nelle amministrazioni prevaleva il dialogo, sintesi del pensiero di ogni partito e non esigenza di ogni singola persona”. Oggi si ha difficoltà nella comunicazione? “Oggi, credo ci sia più superficialità. Non è mia intenzione essere invadente, e mi reco in Comune solo se invitato. Quando mi è capitato di incontrare l’attuale sindaco, mettendo la mia esperienza a disposizione, sono stato ringraziato, ma la sensazione è che dall’altra parte si pensi sempre ad una ‘invasione’ poco gradita, anziché ad un’opportunità di crescita. Ci sono determinati argomenti, questa era la nostra sensibilità, che andrebbero discussi con la città. Problemi, oggi affrontati con molta leggerezza, che cambiano anche il volto della città o di un quartiere. Non è possibile prescindere dal parlare con chi la città la vive quotidianamente. Queste problematiche andrebbero sviscerate con la gente. Non si può concepire uno stravolgimento, come ad esempio quello di Piazza Garibaldi, prescindendo dal confronto con gli elettori,che poi si trovano a vivere in una città di cui non hanno scelto il volto. Io, innamorato della fontana, ancora la rimpiango. Da ragazzino, ricordo, ci sedevamo la sera sul bordo cercando di sfuggire la calura. Si passavano le ore in compagnia, mangiando il cocomero. Adesso i ragazzi, purtroppo, sono impegnati in altro. Gli amministratori dovrebbero avere più senso civico: avere la capacità di interpretare veramente quello che è lo spirito e il pensiero dei singoli cittadini”. La politica è personalistica? “Tra qualche mese si dovrà tornare alle urne, e allora ci accorgeremo che manca la formazione. E’ inutile cambiare nome ad un partito, gli uomini sono sempre gli stessi da trent’anni. Molte delle persone che oggi ricoprono cariche di rilievo stanno già pensando a come fare per mantenere una poltrona. Candidarsi non è questo. C’è chi, pur di riemergere, per esempio, cambia partito, ma questo significa non avere punti fermi. Bisogna però essere ottimisti. Miauguro, e lo dico con forza, che molti giovanisappiano esprimersi e conoscano i fatti megliodi noi. Basta scovarli e dare loro la possibilitàdi mettersi in vista. A livello nazionale, regionale e locale la salvezza puo’ essere rappresentatada una nuova classe politica”.