Ricordate quando settembre annunciava lo sbadiglio
prolungato delle vacanze, senza libri e quaderni, mentre l’occhioeccitato spiava già il primo ottobre, con la certezza della riapertura delle aule e l’annuncio di una nuova avventura? Erano altri tempi. Bellissimi. Forse perché lontani e tinti dall’adolescenza. Oggi è settembre a scuotere il frastornato e confuso ritorno in classe. Alla scuola e ai suoi contorni riserviamo questo inizio di Prima Pagina. Non a caso l’approfondimento del mese si occupa della “sindrome facebook”, fenomeno che coinvolge i più giovani con risvolti preoccupanti.Ancora una volta determinante sembra essere il ruoloe ducativo di scuola e famiglia, le due metà della mela sgranocchiata quotidianamente dai ragazzi. Alcuni, avidamente fi no al torsolo; altri, per due o tre morsi.Con incongruente stanchezza. Buone notizie dall’ufficio dal provveditorato regionale.
“Stiamo lavorando – ha dichiarato il neo direttore Giovanna Boda – per combattere la dispersione scolastica con attività innovative che coinvolgano maggiormente gli studenti, soprattutto i più svantaggiati”. Non abbiamo dubbi sulla “giovane” buona lena della dirigente.
E’ ovvio che non si tratta soltanto del recupero di coloro che si dondolano stretti tra i banchi – fuori luogo come un elefante tra pezzidi Baccarat-, ma di un progetto educativo più a largo raggio.
Almeno si spera. Anche perché, accanto ai soliti somari da addomesticare con nuove succulenti carote, piuttosto che con randellosi e inutilibastoni, sopravvive una (per fortuna) ampia fetta di curiosi del sapere, spesso trascurati e demotivati.
Giunge a proposito l’auspicio di un illustre economista di origine abruzzese, docente alla Normale di Pisa.
Marcello De Cecco, a proposito della crisi che accomuna l’Abruzzo alle altre regioni italiane, ha individuato la débacle della nostra regione nella “qualità degli studenti che escono dalle superiori e dall’università”.Ovvero nella “decadenza della qualità del capitale umano”. Niente da eccepire, dal momento che i nostri atenei sembrano più preoccupati a conservare la propria eburnea indipendenza che a sfornare menti pronte e preparate al futuro prossimo.
Senza dimenticare che nel nostro Paese, tra i tanti primati negativi, manteniamo stretto anche quello di essere al penultimo posto per numero di laureati ( in coda c’è la Turchia). E che la rotta intrapresa da troppo tempo ormai verso una sorta di “buonismo” cattedratico non ha prodotto altro che l’illusione di saperci fare ad alunni e famiglie, e ai prof di essere “bravi”.
Vale la pena, dunque, volgere lo sguardo in terra anglosassone. A Londra, nel nuovo istituto Crown Woods College di Greenwich si è deciso di adottare la “politica delle cravatte”. Stessa divisa, ma colori diversi al collo, a seconda dei risultati scolastici conseguiti. Viola per lo studente capace, azzurro per quelli ” senza infamia e senza lode”, rosso per i mediocri. Discriminazione pura e semplice, si griderà da più parti, comportamento antisindacale, irresponsabile, diseducativo.
In verità, forse un tentativo di evidenziare il merito senza mischiare tutto in un calderone dove sono sempre i migliori a perdersi inesorabilmente.
“Credo alla pedagogia repressiva. Con i ragazzi bisogna essere duri”. La frase è di uno che merita, ancora oggi, di essere letto e riletto: Italo Calvino, mica un pirla qualunque…