La storia. Due fi glie vengono abbandonate, moralmente ed economicamente, dal loro padre naturale, il quale non solo non le riconosce, ma non si occupa minimamente del loro sostentamento materiale. E’ la ragazza-madre che si occupa di entrambe le piccole, aiutata dalla propria madre. Purtroppo, quando le minori sono ancora adolescenti, la mamma muore, lasciando il gravoso compito di curare le sorelle alla nonna; quest’ultima, poco tempo dopo, morirà, lasciando le ragazze prive di qualsiasi punto di riferimento. Le due donne, senza alcun sostegno morale,affronteranno anche il tunnel della droga. Il diritto. Le due donne iniziano quindi una causa per la dichiarazione giudiziale di paternità, al termine della quale il giudice liquiderà alle due sorelle anche un risarcimento per danni morali (circa 30 mila euro per ciascuna). In particolare per il Tribunale di Roma (che si è pronunciato sulla richiesta delle donne) il danno non patrimoniale derivante dalla lesione di diritti inviolabili della persona è risarcibile – sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 cc – anche quando non sussiste un reato, né vi sia una ipotesi di legge che consenta il risarcimento del danno non patrimoniale, ma è necessario il concorso di tre condizioni: 1. l’interesse leso deve avere rilevanza costituzionale; 2. la lesione dell’interesse sia grave, nel senso che deve essere superiore al limite della minima tollerabilità; 3. il danno non deve essere futile, e non deve, quindi, essere rappresentato da semplici disagi e fastidi. Nel corso del giudizio, ad ogni modo, la regola dell’onere probatorio ex art. 2697 cc (chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento) deve essere comunque osservata ma, trattandosi di prova di danni relativi alla esistenza di due persone, particolare importanza assume la prova per presunzioni, fermo restando l’onere dei danneggiati di provare i fatti da cui desumere l’esistenza e l’entità dei danni. In altri termini è necessaria la prova rigorosa dei fatti (lo stato di abbandono morale e materiale delle fi glie da parte del padre naturale, le diffi coltà di vita derivanti dalla precoce perdita della mamma e della nonna e dalla seguente mancanza di punti di riferimento) e il Giudice potrà quindi presumere da tali fatti l’esistenza dei danni subiti dalle attrici, e liquidarli in via equitativa, poiché trattasi di un diritto costituzionalmente garantito. Il principio di diritto che il Tribunale di Roma ha sancito è quindi il seguente: secondo il comune sentire, l’assenza di un genitore nella vita dei fi gli genera senza dubbi molte ripercussioni negative nella vita di questi ultimi, tra cui vi sono scompensi affettivi e privazione di sostegno psicologico e di guida, oltre alle inevitabili ricadute nella sfera della vita di relazione. In danno morale è dunque risarcibile perché non riconoscere un figlio lede un diritto costituzionalmente garantito, e tale danno è originato dalla sofferenza patita per la privazione della fi gura genitoriale. La sentenza del Tribunale di Roma è senza dubbio molto interessante, in quanto ribadisce e conferma l’esistenza del danno morale per l’assenza di un genitore nella vita di un fi glio, ma non è innovativa, in quanto già la Corte di Appello di Bologna (sentenza n. 307/2004) aveva accolto, ritenendola fondata, la pretesa di trovare un adeguato ristoro per tutti i danni (patrimoniali e non) derivanti dal mancato riconoscimento di un fi glio e dalla sottrazione all’obbligo di mantenimento da parte del padre naturale.