Rabbi Pannella, qualunquemente laureato honoris causa

Marco Pannella torna a Teramo, la sua città. “Sua”, oggi, come mai prima d’ora:

sua perché la città vive con difficoltà il peso di una recessione che, nel microcosmo di un capoluogo di provincia, è l’effetto terminale della crisi finanziaria del 2008, nata in un mondo a cui Pannella è politicamente legato. Sua infine, perché qui a Teramo Marco Pannella verrà laureato honoris causa da un Rettore che – nella sua pochezza intellettuale e manageriale – è la sua fotocopia sbiadita.

Tuttavia non è che Pannella non sia un maestro della comunicazione. Lo è e lo è stato, eccome. Di lui ricordo la marcia della pace Milano Peschiera ‘68, quando in pantaloncini corti, preso per il culo da un operaio edile di un cantiere che si affacciava sulla strada dei marciatori, rispose con orgoglio laico “va a messa!”; o quando venne ospitato in una sezione del PCI, e lui si scagliò contro una ‘rivoluzione’ che non veniva mai, mentre la sua sarebbe stata la rivoluzione ‘vera’, qui e ora, tutta e subito. A quei tempi, nella sede di via XXIV maggio, Pannella spendeva parole di elogio per l’anarchismo e la pace – ma era l’epoca del Vietnam e degli USA wasp, non c’erano ancora i neocons e i Kerry in guerra con l’Islam – e di disprezzo per la partitocrazia e soprattutto la DC … tutto questo mi attraeva molto. Ma poi venne la presa di distanza e la percezione di un Pannella agli antipodi di quello che mi pareva di avere conosciuto.

La presa di distanza fu, telegraficamente, il ‘68 e il suo immaginario marxisteggiante. La percezione diversa arrivò più tardi, con una serie di punti interrogativi che solo col tempo si sarebbero chiariti: perché tanto odio per Paolo VI, e un corteo di saluto per il nuovo papa Woytila, anno 1978? Dove era finito l’anticlericalismo ottocentesco che aveva sempre animato i discorsi del più importante radicale italiano? Lo capii quasi un decennio dopo, la visita di Giovanni Paolo in sinagoga e le origini ebraiche del papa polacco.

Perché il sostegno aperto, con tanto di riferimenti a Gandhi, ai primi bombardamenti sull’Iraq del 1991? Semplice, perché dietro c’era il fattore Israele, come Saddam avrebbe dimostrato lanciando missili contro lo Stato ebraico. Perché poi. il silenzio sulla fine dei ‘partiti nati dalla resistenza’ provocata da Tangentopoli, lui che si era sempre presentato come l’espressione più avanzata della democrazia postfascista? Semplice, perché il barone Guy De Rothchilds avrebbe tifato per la Tangentopoli di Di Pietro, Semler e Luttwak: Corriere della Sera del 29 maggio 1993, due giorni dopo la bomba all’Accademia dei georgofili, quella nella quale il presidente dell’antimafia Vigna ipotizzò la mano di una ‘lobby finanziaria’. 

Di capitolo in capitolo, tutti i dubbi si scioglievano. Vietnam e Cecenia: perché, dopo le critiche ai vietcong, l’improvvisa scoperta della guerriglia armata come via per la ‘liberazione’, in quel della Cecenia degli anni Novanta, un movimento non solo armato ma per giunta anche islamico? Semplice: perché la guerriglia islamista antirussa era sostenuta dal finanziere e presidente della sinagoga di Mosca Boris Berezovsky: verità indicibili, ma scritte nero su bianco sul Corriere della sera, per quel buon senso diffuso di cui fa parte fino in fondo anche Marco Pannella …

 

L’ultima volta che ho incontrato Pannella, è stato nel giugno 2007, un ristorantino a via di Torre Argentina in Roma: oggetto, il caso Faurisson, e la mia richiesta di una dichiarazione in difesa della libertà di opinione, di ricerca e di insegnamento. Non ricordo se prima o dopo la trasmissione Sky a cui venni invitato a discutere della questione con in studio un collega storico e in video Faurisson dalla Francia e da Roma, un dirigente della comunità ebraica, segno evidente che nell’ebraismo italiano non tutti sono della stessa pasta. La pasta cioè degli squadristi romani che fracassarono una spalla a un ispettore di PS il 18 maggio 2007, un funzionario che non volle o non riuscì sporgere querela; e la pasta di Marco Pannella, finto rivoluzionario e finto liberale al servizio militante dell’industria liberticida e dei poteri forti che stanno assassinando l’economia italiana. Perché lui, Pannella, è vero che mi rispose in quel pranzetto: “ora non posso, devo pensare alla campagna contro la pena di morte, ma appena è terminata, ti prometto che la farò”: ma poi non dichiarò mai nulla, né dichiarerà nulla adesso che gli articoli 21 e 33 della Costituzione – vedi il TG mattina di ieri 28 novembre – sono di nuovo sotto assalto da parte del solito noto. Il caciarone Pannella muto come un pesce, come un siculo delle tre scimmie che non sa non vede e non sente nulla, della quarta mafia italiana, quella laica.

Ma in fondo anche il non comunicare è un segno di intelligenza comunicativa, e dunque Pannella sicuramente merita di essere in laureato honoris causa. Mentre dall’altra parte, ha le sue ragioni anche il rettore: dà l’ennesimo segnale, del medesimo colore ideologico-culturale, della sua piena disponibilità a vendere l’Ateneo taramano al miglior offerente.

 

di Claudio MOFFA