RIVEDIAMOCI TRA VENT’ANNI

Per il Fondo Monetario Internazionale è questo il tempo che ci vorrà,
in Italia, per tornare ad una occupazione simile a quella che c’era
prima della crisi.
Un po’ meno alla Spagna che dovrebbe uscirne in 10 anni, ma situazione simile in altri Paesi dell’Eurozona.

A nulla sembrano giovare gli accorati annunci del Governo RenziPadoan che sciorinano dati del Ministero del
Lavoro sulle nuove occupazioni (nel mese di giugno sono state 61.098) o le trasformazioni dei contratti precari.

“Le stime del FMI non tengono conto delle riforme già attuate” è la risposta. Già le riforme. Mai parola è stata più usata e abusata nel nostro Paese nel corso degli ultimi 20 anni.
Siamo campioni del mondo in “riformismo”.

Ogni governo ha riformato qualcosa, solo la scuola e le pensioni ne hanno subite una decina e senza apparenti miglioramenti. Ad ogni riforma è corrisposta una reazione negativa dei cittadini, proteste, manifestazioni, scioperi e turbolenze sociali. Prendiamo la scuola ad esempio:
La Buona scuola avrebbe dovuto essere la soluzione a decenni di abbandono e degrado di un settore fondamentale per la crescita di uno Stato. E se negli anni passati erano principalmente gli studenti a protestare oggi, questa Buona Scuola non piace soprattutto ai docenti che ne hanno evidenziato i punti critici in molte
manifestazioni di dissenso.
Per non parlare del mondo dimenticato di quanti, pur lavorando nella scuola non appartengono né alla “squadra” degli insegnanti né a quella degli studenti. Persone dimenticate quando si tratta di regolamentarne la condizione, ma sballottate qua e la ogni anno, peregrini senza fi ssa dimora.
E poi la madre di tutte le riforme, l’ennesima sulle pensioni, la famigerata “Fornero” che porterà una generazione di nonni ancora dietro alle scrivanie o nei reparti, pieni di acciacchi, presbiti e costretti ad assenze prolungate, permessi 104 e così via, perché fi no a 70 anni non potranno lasciare il posto, pena una misera pensione insuficiente persino per l’istat che ha determinato in 780 Euro il limite economico che segna il passaggio allo stato di povertà.
Immaginiamo la società tra 20 anni, appunto, quando la crisi dovrebbe essere fi nita, i settantenni ormai in dirittura d’arrivo e i giovani, ormai cinquantenni, pronti a riportare il tasso di occupazione ai livelli di pre- crisi.

edizione PrimaPagina-agosto 2015 – di Mira Carpineta