Capita a volte di apprendere dalla cronaca giornalistica come pericolose organizzazioni criminali vengano assicurate alla giustizia anche grazie all’operato di soggetti – in genere appartenenti alle forze dell’ordine – che s’infiltrano nella struttura illecita, apparentemente con lo scopo di favorirla nella commissione dei reati, ma in realtà con il preciso intento di consentirne l’individuazione e la repressione. Costoro vengono tecnicamente definiti agenti provocatori.L
’agente provocatore, in effetti, è colui il quale fingendosi partecipe di un’attività delittuosa, “provoca” l’azione di altri con il solo scopo di permetterne l’incriminazione da parte delle autorità inquirenti. Nel nostro ordinamento non esiste una disposizione normativa che definisca, in generale, la figura dell’agente provocatore, ma solo specifiche previsioni di legge che ne disciplinano l’attività con riferimento a determinati reati. E’ il caso, ad esempio, all’art. 97 del D.P.R. 309/1990 che dichiara, tra l’altro, non punibili gli ufficiali di polizia giudiziaria addetti alla unità specializzate antidroga i quali, al solo fine di acquisire elementi di prova in ordine ai delitti concernenti gli stupefacenti, acquistano, ricevono, sostituiscono od occultano sostanze stupefacenti o psicotrope o compiono attività prodromiche e strumentali. Altre ipotesi di agente provocatore sono state, poi, introdotte in materia di riciclaggio e di armi; di acquisto simulato di materiale pornografico, nonché in tema di contrasto al terrorismo internazionale. Nonostante l’enorme rilevanza e pericolosità del servizio prestato – si pensi a coloro che entrano a far parte di associazioni di tipo mafioso – il contributo fornito dall’agente provocatore ha sollevato, tuttavia, non pochi problemi tra studiosi e giudici poiché si sostiene che egli, quantunque sia animato da nobili finalità, agevolerebbe la commissione del reato, anziché prevenirlo. Attualmente, sono sostanzialmente due gli orientamenti che escludono la punibilità dell’agente provocatore, sia pure con motivazioni diverse. L’uno, sostenendo come l’attività provocatoria sia giustificata dall’adempimento del dovere previsto dall’art. 51 del codice penale, poiché la polizia giudiziaria ha l’obbligo di ricercare le prove ed assicurare i colpevoli alla giustizia. L’altro, valorizzando la mancanza di dolo in capo all’agente, poiché egli è convinto che l’attività criminale, in ogni caso, non giungerà a compimento. Probabilmente è più corretto ritenere come il legislatore, tenuto conto della gravità di particolari tipi di delitti, abbia inteso eccezionalmente derogare al generale principio di prevenzione dei reati, riconoscendo determinate ipotesi di non punibilità in favore dell’operato di coloro che si trovano ad agire al solo scopo di assicurare i responsabili alla giustizia.
ente provocatore
Capita a volte di apprendere dalla cronaca giornalistica come pericolose organizzazioni criminali vengano assicurate alla giustizia anche grazie all’operato di soggetti – in genere appartenenti alle forze dell’ordine – che s’infiltrano nella struttura illecita, apparentemente con lo scopo di favorirla nella commissione dei reati, ma in realtà con il preciso intento di consentirne l’individuazione e la repressione.
Costoro vengono tecnicamente definiti agenti provocatori.
L’agente provocatore, in effetti, è colui il quale fingendosi partecipe di un’attività delittuosa, “provoca” l’azione di altri con il solo scopo di permetterne l’incriminazione da parte delle autorità inquirenti.
Nel nostro ordinamento non esiste una disposizione normativa che definisca, in generale, la figura dell’agente provocatore, ma solo specifiche previsioni di legge che ne disciplinano l’attività con riferimento a determinati reati.
E’ il caso, ad esempio, all’art. 97 del D.P.R. 309/1990 che dichiara, tra l’altro, non punibili gli ufficiali di polizia giudiziaria addetti alla unità specializzate antidroga i quali, al solo fine di acquisire elementi di prova in ordine ai delitti concernenti gli stupefacenti, acquistano, ricevono, sostituiscono od occultano sostanze stupefacenti o psicotrope o compiono attività prodromiche e strumentali.
Altre ipotesi di agente provocatore sono state, poi, introdotte in materia di riciclaggio e di armi; di acquisto simulato di materiale pornografico, nonché in tema di contrasto al terrorismo internazionale.
Nonostante l’enorme rilevanza e pericolosità del servizio prestato – si pensi a coloro che entrano a far parte di associazioni di tipo mafioso – il contributo fornito dall’agente provocatore ha sollevato, tuttavia, non pochi problemi tra studiosi e giudici poiché si sostiene che egli, quantunque sia animato da nobili finalità, agevolerebbe la commissione del reato, anziché prevenirlo.
Attualmente, sono sostanzialmente due gli orientamenti che escludono la punibilità dell’agente provocatore, sia pure con motivazioni diverse.
L’uno, sostenendo come l’attività provocatoria sia giustificata dall’adempimento del dovere previsto dall’art. 51 del codice penale, poiché la polizia giudiziaria ha l’obbligo di ricercare le prove ed assicurare i colpevoli alla giustizia.
L’altro, valorizzando la mancanza di dolo in capo all’agente, poiché egli è convinto che l’attività criminale, in ogni caso, non giungerà a compimento.
Probabilmente è più corretto ritenere come il legislatore, tenuto conto della gravità di particolari tipi di delitti, abbia inteso eccezionalmente derogare al generale principio di prevenzione dei reati, riconoscendo determinate ipotesi di non punibilità in favore dell’operato di coloro che si trovano ad agire al solo scopo di assicurare i responsabili alla giustizia.
Dott. Roberto SANTORO