Purtroppo i casi di mancato pagamento del mantenimento, stabilito a favore dei figli o del coniuge, sono molto numerosi e possono dipendere da diverse cause, ma tutte classificabili in due categorie generali: la prima è relativa ad una situazione di oggettiva diffiicolta’ del coniuge tenuto al versamento (perdita di lavoro, spese improvvise per motivi di salute e, in genere, situazioni oggettivamente verificabili e non dipendenti dalla volontà
del coniuge obbligato); la seconda categoria è relativa ad un errato atteggiamento del coniuge tenuto al versamento che, per motivi personali di risentimento verso l’altro coniuge, non versa puntualmente il dovuto, ovvero non versa nulla, ovvero si rende del tutto nulla tenente, vendendo o donando i propri beni e/o licenziandosi e/o lavorando “in nero”. In ogni caso il mancato versamento può produrre disagi nell’altro coniuge e ingenerare, naturalmente, forti conflitti. Il punto di partenza da tener ben presente, per impostare correttamente i rapporti tra ex coniugi, è questo: non è lecito interrompere o ritardare il pagamento della somma fi ssata dal Tribunale a titolo di mantenimento e, se la situazione economica del coniuge onerato cambia, è necessario rivolgersi al Tribunale per ottenere una riduzione del contributo. Nel caso di mancato pagamento, nonostante la permanenza del provvedimento giudiziale, è possibile agire sia in sede civile che in sede penale. In sede civile è possibile procedere con pignoramenti di beni mobili e/o immobili, ovvero di conto correnti bancari; è anche possibile, se il coniuge risulta regolarmente assunto, ottenere il versamento delle somme dovute direttamente dal datore di lavoro. Vi sono anche strumenti giuridici per revocare ed annullare gli atti compiuti dal coniuge onerato al fine di “spogliarsi” di tutti i beni, nel tentativo di rendere inutile una azione esecutiva nei suoi confronti; si noti, inoltre, che tali comportamenti fraudolenti non solo possono essere posti nel nulla con strumenti civili, ma possono essere valutati anche in sede penale. Di fronte al mancato versamento dei contributi è possibile anche agire penalmente, mediante una querela per il reato previsto e punito dall’art. 570 cp L’omissione del mantenimento costituisce, infatti, reato penale, previsto e punito da una norma relativa alla violazione degli obblighi di assistenza familiare; viene punita, quindi, la condotta di chi “fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge”. Il reato, dunque, non deriva automaticamente dal mancato pagamento dell’assegno di mantenimento, ma si confi gura quando il mancato pagamento fa venir meno i mezzi di sussistenza; quando trattasi di minore, però, la giurisprudenza sostiene che lo stato di bisogno costituisce un dato di fatto incontestabile, proprio perché il minore non è in grado di procacciarsi un reddito (Cass. Pen. 5432/1985); la minore età, quindi, è stata considerata come indice sicuro dello stato di bisogno (Cass. Pen. 20636/2007), con conseguente sussistenza del reato, fi nanche quanto (in concreto) i mezzi di sussistenza vengono forniti dall’altro genitore, poiché tale intervento non elimina lo stato di bisogno ma, al contrario, ne costituisce la prova (Cass. Pen. 18156/2003). La querela deve essere considerata, comunque, solo come ultimo ed estremo strumento, da utilizzare quando il coniuge onerato, deliberatamente e in assenza di valide e riscontrabili motivazioni, ometta di versare l’assegno; si ricordi, infatti, che il reato è perseguibile d’ufficio, vale a dire che, una volta iniziato, il procedimento penale andrà avanti fino alla sentenza, anche se, nel frattempo, i coniugi raggiungono un accordo e la querela viene rimessa. L’avvocato, in ultima analisi, deve valutare correttamente il caso specifico, privilegiando, sempre e comunque, le esigenze e necessità del minore, che “subisce” la separazione dei genitori e i conseguenti risvolti giuridici/processuali; al professionista legale, quindi, il delicato compito di tutelare gli interessi del minore, da un lato, e di tentare di raggiungere un accordo conciliativo, da altro lato, consigliando il ricorso alla sede penale solo dinanzi a comportamenti ingiustificati e palesemente diretti a danneggiare l’altro coniuge e la prole.