Intervista a Gloriano Lanciotti, direttore provinciale di Cna
In un recente convegno tenutosi presso la Banca Di Teramo, sul futuro della città, il dibattito seguìto ha visto contrapporsi il mondo politico e imprenditoriale locale soprattutto sulle responsabilità. Da un lato, il senatore Tancredi respingeva energicamente le accuseche vogliono vedere nella classe politica in genere il “capro espiatorio di tuttii mali” attuali, dall’altro il mondo imprenditoriale,in quella sede rappresentato dalvice presidente di Confindustria Fabrizio Sorbi, che vede invece nella politica attuale ingerenze negative, se non addirittura assenza di azioni e programmi necessari per superare la crisi. Il confronto tra le parti, nel nostro territorio, si sta facendo molto acceso proprio per lo scollamento tra economia reale e filosofie socio-politiche. E in un contesto territoriale circoscritto come è quello teramano, fotografa una situazione sempre più drammatica soprattutto nelle relazioni banche-imprese. In un momento in cui tre banche locali (che riassumono la quasi totalità dei soggetti economici della provincia) presentano bilanci e situazioni in sofferenza, e che necessitanoesse stesse di interventi di controllo e ristrutturazione, le preoccupazioni degli imprenditori si acuiscono e da tutte le associazionidi categoria arrivano richieste diazioni concrete non più procrastinabili. Diquesto avviso Gloriano Lanciotti, direttore provinciale di Cna, e componente delconsiglio di amministrazione di una bancadi credito cooperativo: “Questa provincia ha visto negli ultimi anni un fiorire di banche e molte sono proprio banche di credito cooperativo. Solo in Abruzzo ce nesono otto e di queste, quattro sono teramane- esordisce-. E stanno per arrivarne altre due: la BCC del Vomano e quella della Vibrata che ha già ottenuto l’autorizzazione della Consob. E’ senz’altro un indicatore di ricchezza perché le banche nascono laddove ci sono condizioni utili. Se Teramo è in assoluto un territorio ricco di sportelli lo si deve al suo tessuto economico dinamico, ma questo non implica necessariamente che ci sia più credito”.Le banche teramane, a cominciare dalla Tercas, vivono momenti delicati. Qual è la sua opinione a riguardo? “Intanto spero decisamente che Tercas rimanga teramana. Se la perdessimo, sarebbe un altro pezzo di economia che se ne va. Evidentementesono stati commessi degli errori,dal manager al consiglio di amministrazione(che, ci tengo a dire, è composto da persone perbene), qualcosa deve essere sfuggito di mano. Il management aveva realizzato grandi cose e altri i progetti erano in corso di realizzazione. Ambiziosi, forse troppo, e gli errorihanno avuto un peso maggiore dei successi. O forse il consiglio di amministrazione avrebbedovuto vigilare di più, ma questo non sta a noi dirlo, lo decideranno gli organismi competenti”. La “sofferenza” delle banche tuttavia ricade pesantemente sulle imprese. “Le banche dovrebbero tornare a fare il loro lavoro, che è servire l’economia e le imprese e non viceversa. Il nostro tessuto imprenditoriale è fatto di piccole e piccolissime aziende che sono per lo più di tipo familiare. Nella nostra provincia ci sono circa 40.000 partite iva, il 90% di esse ha meno di 10 dipendenti. La Tercas in passato ha sempre dato risposte, ha assistito e condiviso i progetti imprenditoriali. Ora vedo una banca ancora lontana dai problemi e dalle esigenze delle piccole aziende. Ma le responsabilità appartengono anche al mondo politico che, soprattutto in un contesto locale, è determinante, e con le proprie ingerenze provoca danni maggiori. La gestione delle banche andrebbe affidata alle imprese, la politica dovrebbe starne lontana”. Nonostante le misure dei governi e dei governatori l’accesso al credito continua ad essere difficile, perché? “Perché le banche hanno preferito investire le liquidità erogate dalla BCE in titoli di stato, dando la precedenza al loro conto economico, piuttosto che a quello delle imprese. I titoli di stato hanno un rischio zero, ed è più semplice e più sicuro che dare soldi alle imprese. Questo è un ragionamento di prudenza, comprensibile, ma a mio avviso sbagliato. perché uccidere le imprese significa far morire anche la banca. E qui mi riallaccio al pensiero sulla politica che deve intervenire sì, ma per dare indirizzi, non solo occupando posti e poltrone. Finanziare le imprese significa rimettere in moto l’economia del territorio”. In questi anni di crisi, paradossalmente le banche più vicine alle imprese sono state proprie le BCC. Stanno sostituendo il sistema bancario tradizionale? “Le BCC possono fare molto, ma hanno deilimiti. Ad esempio, le grandi operazioni hanno ambiti più limitati, ma sono state e sono estremamente utili. Le nostre quattro BCC sono le sole che stanno dando risposte, seppur limitate. Nel 2011 hanno cessato la loro attività 175 imprese artigiane. Se si calcola che ognuna di esse ha almeno due dipendenti, significa che circa 500 persone hanno cessato l’attività, cifra paragonabile a una grande azienda, e le banche hanno avuto la loro responsabilità chiudendo i rubinetti. Purtroppo spesso le banche locali hanno un’eccessiva etichettatura politica, che può essere molto condizionante e a volte in senso negativo. Le logiche economiche sono diverse dalle logiche politiche. Io credo che debba esserci più autonomia. E condivido pienamente il fatto che nei nuovi statuti delle BCC c’è assoluta incompatibilità tra cariche politiche e incarichi in consiglio di amministrazione. Noi abbiamo sostenuto le imprese con i nostri confidi. Ci stiamo sostituendo con le nostre garanzie a quelle degli imprenditori che hanno sempre più i bilanci in difficoltà. Ma non abbiamo le risorse sufficienti. La regione Abruzzo da tre anni non eroga i fondi FAS.” A proposito di regione, circa tre anni fa la riforma Castiglione e la legge sui Confidi. Qual è la situazione? “Nel 2010 c’è stata la riforma sulla legge dei Confidi. CNA ha messo insieme undici Confi di e cooperative di garanzia creando FIDIMPRESA, ma ad oggi ancora nessun risultato. Niente fondi. Sinceramente non è più tempo di enunciazioni, ma di fatti concreti e la politica deve tornare a fare politica, magari con volti nuovi e possibilmente presi dalla società civile. Da quasi trent’ anni, invece, abbiamo sempre gli stessi nomi e cognomi, tramandati da generazioni, ma questa provincia ha molto di più. Il problema è che mettersi in discussione è difficile, laddove si giocano partite diverse. Io mi confronto tutti i giorni con problemi pratici. I tempi di pagamento delle pubbliche amministrazioni sempre più lunghi sono atti pratici che non si conciliano con i tempi della politica. Bisogna investire sulla società civile, Sono convinto che farebbe bene a tutti tornare in azienda o in ufficio, nella vita normale, dove vivere è molto più difficile di quello che si può vedere dagli scranni di un parlamento”.