Il professore Renzo De Felice storico di vaglia internazionale così descrisse in quali binari dovrebbe muoversi chiunque si occupi di scrivere di Storia:
“Oggi nulla, salvo che l’essere stato marxista e comunista mi ha immunizzato dal fare del moralismo sugli avvenimenti storici. I discorsi in chiave morale applicati alla Storia da qualunque parte vengano e comunque siano motivati, provocano in me un senso di noia, suscitano il mio sospetto nei confronti di chi li pronuncia e mi inducono a pensare a mancanza di idee chiare, se non addirittura ad un’ennesima forma di ricatto intellettuale”.
Orbene buona parte degli storici oltre a forme di moralismo sempre più accentuate vi hanno aggiunto pregiudizi conditi da una forma di racconto che non ha nulla a che fare con la ricerca di documentazione ed è diventata solo “narrazione” col rischio di farne uno spettacolo viste le molte trasmissioni sulla Storia in TV. A tal proposito è bene precisare i confini ma, soprattutto, le diversità e le totali differenze che ci sono tra la “Narrazione” e la “Storia”. La narrazione, ormai dilagata ovunque, è una forma ancestrale e potentissima di comunicazione per cui raccontare storie è anche un modo di manipolazione degli altri. Essa ha lo scopo principale di condizionare e influenzare le menti altrui. La Storia, invece, deriva dal greco “Istoria” che significa “ricerca e indagine” ed è la disciplina che si occupa dello studio del passato tramite l’uso di fonti, di documenti, di testimonianze e racconti che trasmettono il sapere del passato.
Bisogna che ci si convinca del fatto che se non si conosce la Storia non si comprende il presente e né, tantomeno, si può pensare di costruire il futuro.
Ad un ribaltamento completo sulla narrazione della storiografia marxista ha, senza ombra di dubbio, contribuito la storica Elena Aga Rossi con il suo saggio “L’Italia tra le grandi potenze. Dalla seconda guerra mondiale alla guerra fredda” una delle maggiori studiose della politica e dell’intervento degli Alleati in Europa e soprattutto in Italia durante la guerra e della conseguente influenza dell’Unione Sovietica in Italia nei primi anni della guerra fredda. Sull’una e l’altra tematica ha prodotto nel tempo una cospicua serie di ricerche originali che hanno in più casi costituito punti di svolta della ricerca storica sulla Campagna d’Italia e in generale sulla Storia politica del nostro Paese fra guerra e dopoguerra. Ora i risultati di quelle ricerche hanno trovato una definitiva sistemazione su tre piani principali: i piani alleati per la divisione dell’Europa elaborati dagli alleati durante la guerra; la Campagna d’Italia degli angloamericani e i rapporti del PCI con l’Unione Sovietica. In questo lavoro è molto documentata la dipendenza del Pci, negli anni della segreteria di Palmiro Togliatti, dall’Urss. La strategia a lungo termine di Stalin era ben chiara per giungere ad un progressivo e forte rafforzamento di un comunismo italiano ispirato da Mosca. Allo stesso tempo, Stalin si era costruito anche un piano B col quale infatti consentiva, in modo soft, la via insurrezionale impersonificata da Pietro Secchia mantenendo in piedi un esercito clandestino, armato, pronto a sostenere l’eventualità di una rivoluzione. Su cosa sia stato il rapporto fra Stalin e Togliatti e, quindi, fra l’URSS ed il PCI è stato totalmente messo a nudo dal lavoro svolto dagli storici Elena Aga Rossi e Viktor Zaslavskij che, nel 1997, in un loro saggio “Togliatti e Stalin. Il PCI e la politica estera staliniana negli archivi di Mosca” edito dal Mulino in cui l’ampio e documentato volume esamina i rapporti tra il PCI ed il Cremlino sulla base dei documenti negli archivi di Mosca che sono stati desecretati e messi a disposizione degli storici dai primi anni Novanta. Il libro sostiene che, contrariamente a quanto tramandato ed imposto dalla storiografia del PCI e da una prevalente narrazione mediatica, la Svolta di Salerno non fu un atto autonomo di Palmiro Togliatti, ma scaturì da una decisione del governo sovietico. I due autori hanno trovato due documenti che, fino a pochi mesi della “Svolta”, dimostravano che alla fine del 1943 Palmiro Togliatti fosse fermamente contrario sia al riconoscimento della monarchia che all’ingresso nel primo governo Badoglio. La loro ricostruzione storica, basata sui documenti degli archivi di Mosca, dimostra che Togliatti mantenne la propria posizione di autonomia fino al marzo 1944. Stalin convocò Togliatti al Cremlino il 4 marzo del 1944 comunicandogli che rifiutava totalmente le sue argomentazioni e gli spiegò che sarebbe stato meglio per il PCI entrare nel governo Badoglio e Togliatti fece quello che gli aveva detto Stalin, rovesciò la propria linea anti badogliana e, giunto in Italia, convinse il gruppo dirigente del PCI ad entrare nel governo. In tal modo il 24 aprile 1944 nasceva il secondo governo Badoglio con la partecipazione dei sei partiti del CLN, compreso il PCI.
Questi sono i documenti che dimostrano come dalla narrazione della svolta di Salerno in avanti tanto sia stato aggiustato e posto per far luogo a “storie”.
di Raffaele Romano