Il registro degli immobili datato 1545, conservato presso l’Archivio di Stato di Teramo, si compone di volumi manoscritti che consentono di approfondire la conoscenza della storia dei mutamenti e dello sviluppo urbano della città. I dati storici ci fanno rivivere Teramo d’altri tempi, quando i due fiumi che cingono la città davano fondamentale slancio alla produzione manifatturiera. Le acque del “Viziola et Trontino”, così chiamati nelle
carte antiche, scorrevano inesorabili rendendo fervidamente attive le macchine idrauliche. Facendo leva su questo punto di forza, la città incrementava le attività legate all’arte della lana. Una volta cardata la lana e tessuto il panno, gli artigiani seguivano specifi che fasi di lavorazione presso gli opifi ci: la valcatura (o follatura), la tintura e la relativa lavatura (o purgatura), l’acconciatura e la tiratura e ottenevano pezzi di panno lana, ma anche mantelli, maglie, e altri indumenti. Il valcatore nei locali della gualchiera doveva avere una “caldaretta” con l’acqua calda utile nel corso dell’operazione. Durante la valcatura infatti i folloni battevano i panni lana contro casse d’acqua e sapone a temperatura di 43-44°C. I panni diventavano compatti come feltro, si gonfi avano ed erano più resistenti. Per favorire il commercio della lana, a Teramo si stabilì che gli aretini, i fi orentini, i senesi e i perugini entrassero in città senza pagare dazi. Ai forestieri, era permesso anche gualcare, tirare e tingere in qualsiasi gualchiera, tiratoio e tintoria della città. Alla luce di alcuni brani tratti dalle carte del Catasto antico veniamo a conoscenza che nella contrada della porta di Santo Spirito, “Antonio De Angelo De Malacarne” aveva “un posto per mulino e una gualchiera”e “un posto per purgare i panni con una conserva” (ovvero una cisterna d’ acqua). Mentre “Ser Vincenzo D’Angelo D’Stammocco” aveva “un purgatoio con una callara e una conserva” nei pressi della porta di Santo Spirito ove si situava anche “un purgo da panni con callara e conserva d’acqua”. Nella contrada di Porta Vezzola i mulini per il macino del grano e di altri cereali rendevano crusca e farina ai mugnai. In questa stessa zona della città c’era anche “lo tenturo con dui callare con macero” di proprietà di “Dioniscio De Urbano” e tante altre tintorie. Nella contrada di Porta Romana invece “Antonio De Angelo De Malacarne” aveva “un molino con una macena e due gualchiere” e un altro “molino da macerare colori da usa”. Solitamente nei laboratori di tintoria venivano macinate e bollite le materie coloranti derivate da sostanze vegetali e insetti o molluschi.