di Mira Carpineta
“Al primo di maggio noi usiamo di cucinare insieme ogni sorta di legumi, fave, fagiuoli, ceci, lenti, ecc. con varia pasta e sette verdure ed ossa salate, orecchi e piedi pure salati di maiali; e questa minestra chiamiamo Virtù..” (Giuseppe Savini – Lessico del dialetto teramano)
Le tradizioni sono ricordi ancestrali di usanze mai dimenticate che attraversano il tempo arricchendosi di particolari e significati.
Il Primo maggio è festa, si sa, ma a Teramo, in Abruzzo questa festa assume un significato completamente diverso dal resto del mondo. In questo giorno infatti si celebra il trionfo di un piatto unico nel suo genere. Ogni vicolo, ogni casa diffonde una sinfonia di profumi e odori talmente intensi e inebrianti da deliziare tutti i sensi.
Le Virtù teramane sono diventate nel corso dei secoli un carattere determinante della storia e della cultura della città e dell’intero territorio provinciale. Dal Gran Sasso alla costa adriatica il primo maggio mangiare un piatto di Virtù è un’esperienza sensoriale estremamente appagante.
La leggenda narra che all’arrivo della primavera, le massaie svuotavano le dispense dei residui delle provviste invernali: legumi (fagioli, ceci, cicerchie, lenticchie) ossi di prosciutto, zampette di maiale, lardo, la pasta preparata in casa ed essiccata. Ma con la primavera arrivavano le verdure novelle, gli odori freschi: fave, piselli, cipolle carote, asparagi, zucchine, carciofi e poi “ papavero, scrippigni, borragine, finocchio, misericordia, rapunzoli, issopo, piscialletto, millefoglie, genepiglio, erba cardellina, santoreggia, maggiorana”. Come annota Giuseppe Savini nel suo “Lessico del dialetto teramano”
Anche la magia si inserisce con il numero sette, che indica le diverse tipologie di ingredienti che compongono la ricetta più antica. Già perché le origini delle Virtù si perdono nella notte dei tempi, , affondano nella cultura greca e romanica dove il rito della preparazione invocava l’arrivo della nuova stagione e delle promesse di raccolti: “preparate da 7 vergini, con 7 legumi, 7 aromi, 7 carni, 7 verdure di stagione, 7 tipi di pasta, cucinato tutto in 7 ore” perché sono 7 le virtù cristiane.
Probabilmente la tradizione giunse in Abruzzo attraverso le transumanze, attività che, per secoli, hanno rappresentato per l’Abruzzo la fonte primaria di sostentamento.
Teramo è un luogo ricco di storia, numerose testimonianze archeologiche fanno risalire la sua “nascita” ad un insediamento fenicio, l’antica Petrut, da cui, nei secoli, le varie dominazioni romane e barbariche hanno fatto derivare il nome dell’intera regione Abruzzo ( petrut, pretutium,aprutium,abruzzo). Ed è in questo luogo che la tradizione delle Virtù ha trovato casa e messo radici profonde.
La ricetta ufficiale viene però definita nel 1800 e di recente un gruppo di esperti e di ristoratori teramani ha realizzato un disciplinare riconosciuto dal Ministero dell’Ambiente e delle Politiche forestali per preservarne l’autenticità.
In realtà gli ingredienti che compongono il piatto sono oltre cinquanta tra i diversi tipi di vegetali,paste, odori e residui di maiale.
Per la sua preparazione occorrono quindi almeno due giorni per le tutte le verdure cotte separatamente e assemblate solo il giorno della degustazione, insaporite dal brodo in cui si sono consumati gli ossi di prosciutto, cotiche e piedini di maiale e completate con i diversi tipi di pasta corta, tagliolini, maltagliati ecc.
Ma siccome in ogni casa c’è una ricetta segreta, ogni cuoca trova il modo di personalizzare le sue Virtù.
I profumi di queste enormi pentole riempiono così i vicoli, le strade e le piazze della città come una sinfonia. E la tradizione prevede un altro elemento fondamentale: la condivisione. Così per le vie e i portoni è un continuo scambio di pentolini e scodelle per gli assaggi reciproci.
Oggi ogni ristorante offre la sua versione del piatto e nel tempo molte sono state le innovazioni, c’è chi aggiunge i tortellini oppure le “pallottine” di carne, altro tipico elemento di un piatto altrettanto famoso ( la chitarra con le pallottine appunto, anch’esso tipicamente teramano). Qualcun altro aggiunge carciofini e zucchine pastellati e fritti, ma tutti rimangono più o meno fedeli al dettato tradizionale perché questa tradizione è talmente radicata nella memoria e nei costumi dei teramani che se ne difende strenuamente l’autenticità solo se preparata “entro le mura”.
La città infatti ha un nucleo storico circondato da mura e delimitato all’interno della confluenza di due piccoli fiumi, il Vezzola e il Tordino. Questa sua specificità è all’origine del nome che in epoca romana le venne dato ovvero Interamnia che successivamente divenne Teramun e quindi Teramo.
La città nuova si sviluppò oltre i fiumi grazie ai tre ponti che ne hanno definito lo sviluppo e la viabilità. Ed è per questo motivo che un detto popolare recita ancora così: “ fuori le mura è una zuppa di verdura, dopo la stazione è solo un minestrone”, ma oggi non è più così, i profumi delle Virtù teramane aleggiano dal Gran Sasso, con l’aggiunta degli odori del bosco, al mare con i sapori del pescato e sono sempre straordinarie esperienze sensoriali e culturali da gustare un cucchiaio dopo l’altro. Ma solo il Primo Maggio.