La Villa Comunale di Teramo è tra i posti più belli della nostra città. Nacque come orto botanico negli ultimi anni del 1800. Nel tempo è arrivata ad essere un vero gioiello della memoria storica teramana. Subito però saltano agli occhi gli eterni lavori, avviati da più di dieci anni, di cui al momento non si riesce a capire ancora una data
di fine. E questo luogo, nulla di strano, ne soffre. In alcuni tratti assume la fisionomia del cantiere abbandonato. La dedicazione della Villa è a Stefano Bandini, medaglia d’oro al valore civile, giovane teramano operatore della protezione civile scomparso nel 2005 in un incidente aereo durante una missione anti-incendio in Toscana. La Villa stessa è una custode di memoria. Alberto Melarangelo spiega la storia dei vari monumenti che si trovano in questo giardino. “Questo è il cippo funebre dedicato a Giannina Milli, scolpito da Pagliaccetti nel 1897. Sobrio ed elegante, con l’interessante particolare del putto piangente e della lira spezzata, simbolo della poesia in lutto. Certamente è trascurata: mancano,come sempre, le adeguate segnalazioni per i visitatori”. Credo che la villa sia poco frequentata rispetto alle sue potenzialità. “È poco frequentata perché è un luogo attualmente in pessime condizioni nonostante sia l’unica area verde del centro città. Lavori infiniti e cattiva gestione la stanno peggiorando di anno in anno. Ad esempio, anche la pinacoteca è aperta solo pochi giorni, mentre dovrebbe essere un posto sempre aperto”. Arriviamo di fronte al primo mezzo busto, Aurelio Saliceti (1804-1862). “Saliceti -spiega Melarangelo- fu presidente dell’assemblea costituente della Repubblica Romana la cui costituzione segna il prodromo della nostra attuale, che per certi versi è più conservatrice. Saliceti era di Ripattoni, geniale giurista, tra i primi affiliati della Giovine Italia di Mazzini. Fu un vero patriota italiano”. Il secondo mezzo busto che incontriamo è quello di Fedele Romani (1855-1910). “Romani era di Colledara ed era un famoso letterato, critico e poeta. Anche lui, come Giannina Milli, visse l’apice della gloria a Firenze, vera culla della letteratura italiana”. Si cammina intanto, sotto un bellissimo sole di luglio (tregua dai piovaschi) inciampando, di tanto in tanto, sopra vecchie lapidi e pezzi di travertino dell’antica Teramo romana. Arriviamo all’ultima parte della Villa, di fronte a tre monumenti di grande importanza, dedicati alle vittime del nazifascismo. Ci fermiamo di fronte a quello dedicato a Mario Capuani (1908-1943). “Questo monumento è datato 1953, voluto da un comitato popolare. Sono tre gli stemmi incisi sulla pietra: della Provincia, dell’Ordine dei medici e della Camera. Capuani era, infatti, un bravissimo pediatra. Per realizzarlo, Gambacorta sindaco, fu chiamato Crocetti, già all’apice del successo. È un’opera di arte pubblica: sulla base c’è il leone simbolo di forza, della potenza, della fierezza; ovvero l’impossibilità di sconfiggere l’ideale di libertà dell’uomo. Crocetti si mostra qui come uno degli animalieri più talentuosi del panorama artistico italiano, dando al leone una posa molto particolare ed estremamente vivida. In alto è collocato il ritratto: Capuani facevaparte di quel gruppo che stava organizzando la Resistenza. Morì qualche giorno dopo la battaglia di Bosco Martese. Questo monumento ha una storia curiosa. A un certo punto scomparvero sia il leone che il ritratto di Capuani. Non si sapeva più che fi ne avessero fatto. A un certo punto furono ritrovati nella pinacoteca. Nel 1994 fu intanto ricollocata il ritratto, sotto la spinta dell’associazione Teramo Nostra. Per il leone si dovette attendere il 2006, quando ci fu la visita di Ciampi, allora Presidente della Repubblica. Ciampi onorò ufficialmente Capuani, in quanto lo legava anche una amicizia personale: entrambi avevano fatto parte da giovani del movimento ‘Giustizia e Libertà’. Ora il monumento ha ritrovato la sua ragion d’essere e ricorda pagine di lotta e sacrificio”. Le ultime due lapidi sono dedicate sempre alle vittime del nazifascismo: c’è una lapide che ricorda tutti i morti nei campi di prigionia tedeschi con particolare riferimento ad Alberto Pepe, capitano dell’esercito italiano, proveniente da una famiglia molto legata all’esercito Dopo l’armistizio scelse di non imboscarsi e di affrontare la prigionia, la strada più difficile.” L’altra lapide è dedicata a due giovani oppositori politici che morirono di stenti nelle carceri fasciste: Romolo Di Giovannantonio e Berardo Di Antonio. La Villa Comunale, coi suoi splendidi alberi e il laghetto, si addormenta nella calura di luglio. Resta da dare un ultimo sguardo ai ‘Due di coppe’ che da Corso San Giorgio sono finiti nella villa, segno di antichi fasti.