Matteo del Fuoco, dirigente della squadra mobile di Teramo fino al 2007, ora avvocato racconta storie e avventure di un mestiere diffifficile. La squadra di Matteo. No, non è il titolo di una avvincente serie televisiva (anche se questa storia ne ha tutti i requisiti), ma l’appellativo con cui, nella memoria collettiva teramana, ci si riferisce a un periodo, e a un gruppo di persone unite dalla stessa passione
per il loro lavoro e per la loro città. Poliziotti nell’anima e per sempre. Senza orari, sempre “operativi”, per usare il loro gergo, impegnati non solo nel contrasto, ma soprattutto nella vigilanza e nella prevenzione del crimine . Con una peculiarità che ne ha caratterizzato lo stile inconfondibile: ascolto e attenzione a tutti, dal cittadino al pregiudicato, dalla persona comune al “pezzo grosso”, dal disadattato al recidivo. Una storia che inizia “nel lontano 19 ottobre 1979 – così il racconto di Matteo Del Fuoco, dirigente della Squadra Mobile teramana (ora in pensione) – quando fui trasferito dalla questura di Oristano a quella di Pescara, dirottato su Teramo dall’allora questore Ciammaichella, persona che ho avuto modo di apprezzare e stimare profondamente, anche se non sempre abbiamo condiviso i punti di vista. L’esperienza maturata nei precedenti incarichi in grandi città, dove la criminalità aveva dimensioni e strutture diverse e quindi dove anche i metodi investigativi lo erano di conseguenza, mi ha permesso di formare e costruire, con dei ragazzi fenomenali, un gruppo unito e preparato. Con loro ho cercato di cambiare la cultura del lavoro investigativo. Non è stato facile”. Era il momento della trasformazione anche della società teramana. La città e la provincia stavamo cambiando. Erano gli anni in cui faceva apparizione la droga sia leggera che pesante. “Cominciammo a contare i tossicodipendenti – prosegue Del Fuoco -, le piazze teramane erano luogo di scambio e di spaccio. Insieme a un pool di ottimi magistrati cercammo di proteggere questo territorio dai tentativi di invasione, di attacco da parte di organismi criminali e mafiosi. Il cittadino apprezzò questo nuovo modo di porsi della polizia giudiziaria. Volli fortemente un contatto diretto con il pubblico”. Iniziava il “nuovo corso” della Squadra Mobile, soprattutto attraverso la relazione con le persone, cittadini o criminali. “Con tutti ho cercato di stabilire un contatto umano. Sono stato il primo ad istituire una casella postale attraverso cui i cittadini potevano comunicare, segnalare, chiedere, rivolgersi alla Polizia, con la sicurezza di essere innanzitutto ascoltati in modo discreto, rispettando la dignità di ognuno”. Un rapporto di reciproca fiducia tra Polizia e territorio che negli anni ha portato ad una sorta di positiva complicità con la gente, in cui i nuovi metodi applicati diedero risultati di notevole entità. Nel racconto di Matteo Del Fuoco è molto evidente il ricordo affettuoso dei suoi collaboratori a tratti un rimpianto, nonostante i rischi che inevitabilmente si correvano nello svolgere indagini anche complesse, delicate che finivano per “pestare i piedi di qualcuno” . “Il nostro operato portò la Questura di Teramo all’attenzione dell’Italia. – conclude Matteo del Fuoco- Ci conoscevano da Palermo a Milano. Nel patto di reciproco rispetto che si era instaurato con le persone, era fondamentale la fiducia. Se quella squadra ha significato sicurezza, presenza, efficienza, vuol dire che la professionalità applicata non ha mai leso la dignità di nessuno “.