Intervista a due sorelle abruzzesi, sopravvissute al naufragio della nave della Costa Crociere.
Cinzia Antelmi vive a Roma con il fi glio e il compagno, le persone che in assoluto non vedeva l’ora di riabbracciare. Barbara ha un’attività a Pescara, la città in cui vive. Anche per lei, poter riabbracciare la figlia e tornare al tran tran quotidiano sono la cosa più importante.
Entrambe sono salitea bordo della Costa Concordia alle 14:00 di venerdì tredici gennaio. “Non eravamo in vacanza, stavamo partecipando alle selezioni di Professione Lookmaker, un reality che sarebbe andato in onda di lì a poco. Ci aspettava una settimana di full immersion con professionisti di alto livello e duro lavoro”. Quando avete avvertito che qualcosa non andava? “Stavamo ordinando la cena quando mia sorella Cinzia ha iniziato ad avvertire un forte mal di mare. Di lì a poco abbiamo sentito un rumore fortissimo, come se un treno stesse deragliando sotto di noi. Dopodiché un boato. La nave si è inclinata, prima da una parte poi dall’altra, sbalzando persone, tavoli, sedie in tutte le direzioni. Il seguente black out non ha favorito le cose, poiché trovandoci in un luogo che non conoscevamo, avere senso dell’orientamento era pressappoco impossibile. A mente lucida abbiamo immaginato quanto saremmo potute essere distanti dalla costa, non sapevamo di essere vicino alla costa. Ci tranquillizzava il fatto che, essendo partite da un’ora e mezza, sicuramente eravamo ancora in acque italiane. Quando è tornata la luce, il disastro si è materializzato davanti ai nostri occhi. E’ assurdo ma avendo visto il film Titanic, per un attimo ho immaginato quello che avrei vissuto nelle ore successive”. Quanto tempo avete impiegato per raggiungere il ponte? “Dieci minuti per uscire dal ristorante, poi una corsa all’impazzata per raggiungere le nostre camere e prendere i giubbotti di salvataggio. Ci abbiamo impiegato un po’, perché la nave è molto lunga, e due piani separavano le camere dal ristorante. Quando abbiamo fi nalmente raggiunto il ponte, abbiamo assistito ad una scena incredibile: i passeggeri erano già tutti lì. Abbiamo raggiunto la scialuppa più vicina, e aspettato il via per salire. Nel frattempo, la nave ha cominciato a inclinarsi. Abbiamo atteso due ore sul ponte. Le scialuppe che ci avrebbero salvato erano davanti a noi, ma non potevamo salire.” Qual è stato il momento più brutto in assoluto? “Durante il black out. La sensazione di sentirsi perse e non poter fare nulla. Ogni volta che chiudo gli occhi mi torna in mente. E anche quando ci siamo ammassati sulla scialuppa. In centocinquanta con scene raccapriccianti di vomito, gente che se la faceva addosso, piangeva e gridava. Abbiamo perso tutti il controllo, quando abbiamo capito che la scialuppa non sarebbe mai scesa. Bloccata per chissà qualche motivo, non ci avrebbe mai portati in salvo, al massimo ci saremo potuti schiantare sulla nave, poiché la pendenza era ormai superiore al 50%. Così siamo scese, trovando la porta aperta, ma non avendo appoggio, siamo scivolate per una trentina di metri, da una parte all’altra della nave. Se un ragazzo dell’equipaggio non mi avesse bloccata, probabilmente sarei fi nita in mare.” Come siete riuscite a salvarvi? “L’unico modo era saltare sul tettuccio della scialuppa della Guardia di Finanza, accorsa per prestarci aiuto. Anche in quel caso il panico, misto alla paura, spingeva a gesti estremi. Il salto era di una decina di metri e i bambini come gli anziani erano in grande diffi coltà. Ricordo con angoscia le persone che, rimaste sulla nave, gridavano ‘ non abbandonateci’. Per fortuna all’una abbiamo toccato la terraferma e verso le tre sono arrivate coperte, acqua e viveri. Eravamo salve”. C’è qualcosa, di tutta questa tragedia, che pensate di non poter assolutamente dimenticare? “Gli occhi del ragazzo che ci ha bloccato, penso che ci abbia salvato la vita. E quelli di un ragazzo dell’equipaggio, l’unico a parlare italiano, che ci ha rassicurato nei lunghi momenti di panico, prima di salire sulla scialuppa di salvataggio”. Quando la tragedia diventa un fatto di cronaca occupa molto spazio, mediaticamente parlando. In che modo vi rapportate all’informazione dei telegiornali, giornali, riviste e programmi televisivi? C. “Non vorrei guardare, ma non posso farne a meno. Mi sento vicina a tutte le vittime, perché oltre a loro avrei potuto esserci io.” B. “Guardo la televisione in continuazione, c’è tanta voglia di sapere come tutto ciò è stato possibile, anche se il primo pensiero, non lo nego, va alle vittime”.