“Villa Mazzarosa” e “Villa Carbone” in provincia di Teramo. Sono questi i nomi dei nuovi progetti presentati dalla Mediterranean Oil Gas (MOG) per svolgere attività di ricerca di idrocarburi gassosi sul nostro territorio. Le associazioni ambientaliste, guidate dal “Comitato abruzzese Difesa Beni Comuni”,
con il contributo del sindaco Luciano Monticelli e la consulenza di Maria Rita d’Orsogna (docente di fi sica presso l’università di Los Angeles), intendono formare una Task Force (enti territoriali, associazioni di categoria) per intervenire a livello tecnico contro queste ripetute richieste. Dice Nerina Alonzo, assessore all’ambiente per il Comune di Pineto: “Nel 2008 abbiamo organizzato un convegno per risolvere il problema delle richieste di petrolizzazione in Abruzzo, regione verde. Sono state fatte istanze, conferenze stampa in mare per ribadire l’identità del nostro territorio. Oggi esiste un grande vuoto normativo e il popolo non è informato”. Di recente si è tenuto nei locali di Villa Filiani, a Pineto, il convegno “Un mare di Trivelle. Petrolio quale futuro?” E’ intervenuto Enrico Galliano (Comitato beni comuni): “Parlo in rappresentanza delle associazioni presenti sul territorio. Ci chiediamo dove stiamo andando in termini di approvvigionamenti energetici. La domanda globale di energia aumenterà di un terzo. L’era dei combustibili fossili è tutt’altro che fi nita. Nel Mediterraneo c’è la più alta quantità di catrame al mondo; di quest’ultimo 162000 tonnellate vengono versate in mare per incidenti. Un quarto del greggio viene lavorato in Italia. Facciamo parte di questo scenario” Prosegue Galliano: “Con la petrolizzazione si creerebbero 34000 posti di lavoro, ma non si potrebbe puntare allo sviluppo dell’agricoltura? Non possiamo sempre aspettare disastri ambientali. Bisogna poi salvaguardare la rete idrica, specie l’acqua destinata al consumo dall’inquinamento di idrocarburi che nel sottosuolo sono presenti sia liquidi che gassosi, talvolta miscelati”. Interviene Maria Rita D’Orsogna: “Per ora si parla di sole ispezioni su terraferma e in mare, ma non si spiega come vengono fatte. Camionette sistemate sul territorio che inviano vibrazioni nel sottosuolo un miliardo più potenti di quelle di un concerto rock. I pesci perderebbero l’orientamento e si spiaggerebbero. Assestamento del terreno. Se arrivassimo alle estrazioni, i fanghi nei tubi usati per arrivare a 2500 metri sotto la crosta terrestre inquinerebbero il mare e i pesci attirati dalle piattaforme. Sono alcuni esempi delle conseguenze nocive di queste attività. Tutto ciò per estrarre un petrolio che nella nostra zona è ‘pesante e amaro’, difficile da lavorare. In 30 anni circa di lavori avremmo riscaldamento per una sola settimana”.