Ogniqualvolta maggioranza ed opposizione convergono sulla necessità di una riforma strutturale di un determinato settore della vita pubblica, quello della giustizia rappresenta, senz’altro, il terreno ove si registrano i dibattiti parlamentari più accesi.Emblematico, al riguardo, è lo scontro politico che ruota attorno al disegno di legge sul c.d. “processo breve”.Scopo dichiarato della riforma è quello di restituire smalto e speditezza alla farraginosa macchina processuale,
prevedendo scadenze temporali determinate per ogni singolo grado di giudizio.Un simile progetto normativo – fortemente criticato da magistrati ed avvocati in quanto, stando alla lettera della sua formulazione, nulla più sarebbe che un’amnistia diversamente denominata – è stato aspramente avversato dalla minoranza parlamentare, ritenendolo finalizzato esclusivamente alla tutela degli interessi di pochi.Prescindendo da valutazioni di ordine politico, in questa sede è opportuno prendere le mosse dall’interesse del cittadino comune.L’idea di individuare termini di durata massima per ciascun grado di giudizio, di per sé, è condivisibile.Tanto in àmbito civile, quanto in quello penale ogni individuo ha diritto di ricevere una risposta in termini ragionevolmente rapidi.Tuttavia sarebbe gravemente miope ritenere che un simile intervento sia, da solo, sufficiente per risolvere il problema della lentezza della giustizia.Il processo è un organismo complesso. Composto non solo di regole, ma anche (e soprattutto) di uomini e mezzi.Senza una convincente politica di investimenti finanziari, vòlti al potenziamento professionale e strumentale del sistema, ogni progetto di revisione legislativa è destinato inevitabilmente a fallire.Inoltre, la sinergìa di interventi deve necessariamente coinvolgere la costruttiva cooperazione di tutti gli operatori del diritto, ferme restando le rispettive sfere di competenza.Occorre, infine, rivitalizzare i processi di organico ripensamento dei codici attualmente vigenti, continuando quell’opera di semplificazione normativa tesa ad espungere istituti non più in linea con l’evoluzione sociale e prevedendo, al contempo, ipotesi normative dirette ad introdurre, nel tessuto ordinamentale, nuove realtà socialmente tipiche.In sintesi, appare assolutamente necessario profondere uno sforzo coordinato e condiviso in vista di una rinnovata centralità del processo e, più in generale, del nostro sistema giurisdizionale se è vero, com’è vero, che il grado di civiltà di una comunità è direttamente proporzionale alla risposta di giustizia che essa è in grado di fornire.
ROBERTO SANTORO (MAGISTRATO)