“Le carceri italiane scoppiano e nelle carceri italiane si muore”.
Gianmarco Cifaldi – docente presso la facoltà di Scienze Sociali dell’Università “G. d’Annunzio” di Chieti .
Questo il triste risultato dell’indagine che l’Unione europea ha svolto sul nostro sistema, dando all’Italia la maglia nera per la condizione degli istituti di detenzione. Il tasso di sovraffollamento è del 142,5% contro una media europea del 99,6% e altissimo è il numero di decessi, soprattutto per suicidi. Si parla di vera e propria emergenza. L’Abruzzo, purtroppo, non è immune da questo fenomeno. Il tasso di sovraffollamento si attesta attorno al 38,3%, con casi frequenti di suicidio. Per avere un quadro esauriente della situazione abbiamo incontrato Gianmarco Cifaldi – docente presso la facoltà di Scienze Sociali dell’Università “G. d’Annunzio” di Chieti – che ha svolto una ricerca all’interno delle carceri abruzzesi monitorando, a vari livelli, lo stato dei “lavori” del sistema carcerario regionale. Prof. Cifaldi, cosa ha rilevato la sua ricerca? Uno dei più importanti problemi è la presenza massiccia di persone in attesa di giudizio e di queste una grandissima parte sono extra–comunitari o comunque non di provenienza italiana e molti campani. L’Abruzzo, infatti, viene scelto da molti soggetti che hanno commesso reati come posto dove costituirsi e questo fenomeno viene chiamato “turismo carcerario”. Perché l’Abruzzo è meta del fenomeno? Perché con tutti i disagi che ne derivano dal sovraffollamento, il nostro è sicuramente minimale rispetto a realtà carcerarie maggiori, come quelle campane. Il sovraffollamento è un cancro del nostro sistema. Quali le cause? Molteplici. Innanzitutto come già premesso è molto alto il numero di persone che si costituiscono nella nostra regione per reati commessi al di fuori; c’è una presenza imponente di stranieri e abbiamo un sistema penale che determina la detenzione di molti dei soggetti privi di una condanna definitiva. Inoltre, l’eccessivo ricorso alla custodia cautelare alimenta il fenomeno delle “sliding doors” (porte girevoli): tantissimi detenuti fanno ingresso in carcere per essere liberati dopo poche ore o giorni, sovraccaricando il sistema di spese e lavoro. Il sovraffollamento non garantisce l’igiene; si creano problemi nell’unire persone che hanno difficoltà a coesistere per motivi religiosi, etnici, appartenenza a faide diverse e il controllo dei detenuti diventa difficile soprattutto perché c’è carenza di organico. Questa situazione è di grave nocumento al raggiungimento degli obiettivi di rieducazione. Perché in carcere si muore così tanto? L’aspetto sanitario è un problema delicatissimo. Da qualche anno la competenza sanitaria è passata dal direttore del carcere al direttore generale della Asl, quindi esterna. Quantunque ci siano le migliori intenzioni di far funzionare il sistema sanitario, con il taglio della spesa nazionale, il carcere ne soffre molto. Questo riguarda la tipicità degli interventi sanitari per problematiche e patologie che riguardano i detenuti. Ad esempio, la “sindrome crepuscolare”: il detenuto, solitamente, nella sua prima esperienza carceraria, al calar del sole, soffre un particolare sconforto che lo spinge all’autolesionismo, con manifestazioni esasperate e purtroppo con un’altissima percentuale di suicidio. L’Abruzzo detiene un triste record in questo campo, soprattutto nelle case circondariali di Teramo e Sulmona. Inoltre, il rapporto tra il personale sanitario e il “paziente – carcerario” è basso. Il medico o l’infermiere devono assurgere alla funzione anche di psicologo e sociologo e usare la loro azione come deterrente degli stadi psico – labili. Più volte si arriva a somministrare anche medicine placebo. Una soluzione? Purtroppo il malessere che attraversa il nostro sistema è la mancanza di poter costruire un modello operativo affinché si creino le condizioni di un corretto reinserimento sociale. A eccezione di alcuni carceri abruzzesi, la maggior parte delle case circondariali è di piccola e media permanenza con una continua riduzione da parte del Ministero di fondi e si riesce a malapena a garantire il minimo della gestione. Inoltre, nella nostra regione manca la figura del garante dei detenuti. Questo è un altro elemento negativo del sistema abruzzese. Il garante è un organo di garanzia che in ambito penitenziario ha funzioni di tutela delle persone private della libertà personale e di ex detenuti riguardo all’attuazione parziale dei loro diritti universali della persona o alla violazione di questi ultimi. Il compito del garante è di vigilanza all’interno del carcere e in caso di irregolarità, si rivolge all’autorità competente per chiedere spiegazioni e dare risposte al detenuto. Bisogna vedere il carcere anche da un punto di vista economico; una persona detenuta (che costa in media ben 150 euro al giorno), in particolare lo straniero, se non viene seguita, una volta scontata la pena, sarà portata a ricommettere reati, a tutto svantaggio della società in termini sociali e di costo; la figura del garante interviene nel percorso educativo del detenuto per scongiurare tali rischi. Di positivo cosa è emerso? La grande professionalità degli operatori, nonché la dedizione che hanno i vari direttori delle case circondariali e i vari comandanti nel garantire la sicurezza che non tralasciano di rispettare la dignità del detenuto come uomo.