Questa settimana parliamo di un racconto dedicato all’Abruzzo scritto da Natalia Ginzburg.
Dal 1940 al 1943, Leone Ginzburg con sua moglie Natalia Levi e i loro figli, furono confinati a Pizzoli (AQ) dal regime fascista. Nell’autunno 1944, Natalia Ginzburg (Palermo, 14 luglio 1916 Roma, 7 ottobre 199l), figura di primo piano della letteratura italiana del Novecento, scrisse Inverno in Abruzzo ricordando questo periodo. Inverno in Abruzzo fu pubblicato sulla rivista letteraria Aretusa e, successivamente, nel 1962, in Le piccole virtù, una raccolta di racconti edita da Einaudi. La Ginzburg racconta una Pizzoli dove le persone potevano essere classificate tra chi si pettinava e chi non lo faceva, perché i primi, di certo, non avevano i pidocchi, e lo status sociale era dato dal poter accendere il fuoco o meno. Una Pizzoli dove il cibo e il mangiare scandivano le stagioni, le ore, i luoghi, gli spazi, le persone, il parlare e persino le leggende.
Girò era il proprietario dell’unico spaccio del paese, «lui non cedeva un soldo sul prezzo. “Quanto sei cattivo, Girò“, gli dicevan le donne. Rispondeva: “Chi è buono se lo mangiano i cani”» Ma di carne umana non si nutrivano solo i cani dei modi di dire, c’erano altri mostri nelle lunghe storie di morti e di cimiteri che Crocetta raccontava ai bambini: «… la matrigna non amava il bambino, perciò lo uccise mentre il padre era ai campi e ci fece il bollito. Il padre torna a casa e mangia, ma dopo che ha mangiato le ossa rimaste nel piatto si mettono a cantare: E la mia trista matrea. Mi ci ha cotto in caldarea. E lo mio padre ghiottò. Mi ci ha fatto ‘nu bravo boccò. Allora il padre uccide la moglie con la falce, e l’appende a un chiodo davanti alla porta …»
Era l’Abruzzo delle due stagioni: l’estate e l’inverno, dove la «primavera è nevosa e ventosa come l’inverno e l’autunno è caldo e limpido come l’estate. L’estate comincia in giugno e finisce in novembre». E l’inverno la gente cessava di vivere per le strade, i ragazzi scalzi scomparivano dalle scalinate della chiesa e quasi tutti gli uomini partivano dopo gli ultimi raccolti per andare a lavorare nelle città. Dove nelle «cucine il fuoco era acceso e c’erano varie specie di fuochi, c’erano grandi fuochi con ceppi di quercia, fuochi di frasche e foglie, fuochi di sterpi raccattati ad uno ad uno per via. Era facile individuare i poveri e i ricchi, guardando il fuoco acceso, meglio di quel che si potesse fare guardando le case e la gente, i vestiti e le scarpe, che in tutti su per giù erano uguali.»
Era la Pizzoli raccontata da Natalia Ginzburg in Inverno in Abruzzo.
David Ferrante
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Scrittore e sociologo, appassionato studioso e divulgatore della cultura popolare. Ha all’attivo diversi scritti d’impronta sociologica tra i quali due monografie pubblicate dalla Tabula fati e vari saggi all’interno di collettanee edite dalla Franco Angeli, dall’Università d’Annunzio di Chieti, ecc.
Tra i suoi lavori dedicati agli aspetti magici e leggendari della cultura popolare, oltre a diversi racconti, il saggio Tradizioni, riti e sortilegi del 24 giugno. San Giovanni Battista nella cultura popolare abruzzese (2018-2020). È ideatore e curatore delle antologie L’Ammidia. Storie di Streghe d’Abruzzo (2019), Fate, Pandafeche e Mazzamurelli. Storie di miti, superstizioni e leggende d’Abruzzo (2020) e Magare. Storie di Streghe d’Abruzzo v.2.
Nel 2022 esce la sua prima silloge personale Il dolore della luce. Racconti di streghe, fantasmi e d’amore in cui reale e irreale, amore e crudeltà cercano un punto d’incontro e di fusione.