Domenico Cornacchia, classe 1990, residente a Santa Rufina, nel comune di Valle Castellana (Teramo), al confine tra l’Abruzzo e le Marche, fa della restanza un aspetto fondante della sua scrittura. La restanza è “la posizione di chi decide di restare, rinunciando a recidere il legame con la propria terra e comunità d’origine non per rassegnazione, ma con un atteggiamento propositivo.” [Treccani]
Il suo impegno per la comunità è fatto di scrittura, quella che ferma con le parole la storia del territorio teramano dei Monti della Laga. Domenico resta nella sua terra e, con i suoi libri, rende ancora vivo un territorio messo in disparte.
“Resto qui” è il suo primo libro che ha venduto più di mille copie e tradotto in inglese (“Roots”), “Il tempo vissuto” l’ultimo; entrambi pubblicati per le Edizioni Efesto.
Resto qui: Quello di preservare una cultura tramandata oralmente per secoli, prima che vengano a mancare le fonti d’informazione e i loro testimoni, è lo scopo principale di Resto qui. «I racconti sono storie di vita vissuta che attraversano buona parte del secolo scorso, ambientati in un piccolo fazzoletto di terra a confine tra l’Abruzzo e le Marche, narrati dagli occhi e dalle orecchie di un ragazzo che ancora orgogliosamente vive e si sveglia tutte le mattine in quel luogo insieme alla sua famiglia. L’amore, la guerra, i lavori nei campi, le difficoltà della vita, il folklore sono riportati nel testo al fine di mantenere vivi gli usi e i costumi tramandati di generazione in generazione. Luoghi, casate, proverbi e parole, in dialetto abruzzese-marchigiano, accompagnano gli ultimi capitoli del libro. Il titolo racchiude la resistenza di quelle persone che ancora credono nella bellezza della vita in questi luoghi. Per chi è rimasto, per chi non c’è più e per chi ci sarà dopo di noi.»
Il tempo vissuto: Questo libro vuole riscoprire parte delle radici della piccola comunità di Valle Castellana «…intrecciando la storia locale con quella generale. Con un focus su Santa Rufina e i paesi limitrofi, il volume esplora eventi e personaggi che hanno definito l’identità locale. Tra cronache, documenti d’archivio e racconti orali, si vuole trasmettere uno spaccato autentico della vita di una comunità, colmando in parte il vuoto nella memoria collettiva. Una preziosa collezione di fotografie storiche arricchisce il racconto, mostrando momenti di vita quotidiana e paesaggi del passato. In un mondo frenetico, è essenziale ricordare l’importanza delle piccole storie nella grande trama umana.»
Ma scopriamo di più di questo scrittore attraverso una breve intervista.
“Il tempo vissuto” e “Resto qui”: avresti voluto vivere quel tempo? Quanto è difficile restare a Santa Rufina?
“Il tempo descritto nei due libri è profondamente diverso: Il tempo vissuto copre un arco di circa mille anni, mentre Resto qui si concentra principalmente sul Novecento. Entrambi rappresentano epoche complesse, segnate da eventi storici che hanno plasmato l’esistenza delle persone. Da un lato, sarebbe affascinante poter rivivere quei tempi per capire più a fondo molti aspetti della vita quotidiana. Dall’altro, è innegabile che vivere in quegli anni sarebbe stato estremamente duro. La vita era una sfida costante, una questione di sopravvivenza. Ricordo una frase che mi è rimasta impressa, detta da un’anziano durante un’intervista: “A quei tempi, chi stava bene era chi non pativa la fame”. Questa frase, semplice ma potente, racchiude la realtà di un passato difficile che porto con me nelle mie riflessioni. Restare non è difficile, è una scelta consapevole. Ho sempre vissuto qui e sono profondamente legato a questo posto. Certo, non è sempre facile, ci sono momenti difficili, ma più passa il tempo, più comprendo quanto luoghi come questo siano essenziali per rigenerare mente e corpo. Il mio viaggiare continuo mi permette di tornare con occhi nuovi, sempre più capaci di apprezzarne la bellezza e il valore. Questo contrasto tra il dinamismo del mondo esterno e la serenità che trovo qui rende il legame con il mio paese ancora più forte”.
Quanto è stata complessa la ricerca storiografica per “Il tempo vissuto”?
“La ricerca storiografica è stata molto complessa e impegnativa, soprattutto perché parliamo di luoghi dove la fotografia era una rarità in passato. Tuttavia, il libro contiene oltre 300 fotografie in bianco e nero e circa 140 a colori, frutto di un lungo lavoro di ricerca e raccolta. Ho chiesto a tante persone di condividere i loro ricordi, e molti hanno accettato con generosità. A loro va il mio più profondo ringraziamento, perché hanno donato a me e alle generazioni future immagini e memorie preziose: volti dimenticati, luoghi che non esistono più, e frammenti di un passato che meritava di essere preservato. Senza il loro contributo, la ricostruzione di questo periodo storico sarebbe stata molto più difficile”.
Roots, radici; è la traduzione in inglese del tuo libro “Resto qui“: cosa significa per te il termine “radice”?
“Le radici rappresentano per me un legame profondo con la terra, con la cultura, con un luogo e con le persone. Come le radici di un albero, possono essere più o meno profonde, ma sempre ancorate al terreno. Nel contesto della traduzione inglese, roots riflette proprio questa idea di ancoraggio, di un legame che non si può abbandonare del tutto, anche quando si sceglie di andare altrove, oltre i confini del proprio luogo d’origine. Questo libro, tradotto in inglese, è dedicato a tutti coloro che sono emigrati, che hanno dovuto (o voluto) partire, lasciando dietro di sé la loro terra, i loro ricordi, e le persone care. Alcuni lo hanno fatto per cercare fortuna altrove, altri per cambiare vita. Il mio intento era avvicinarmi a loro attraverso queste pagine, per riportarli indietro a un momento della loro infanzia, a un ricordo di persone care, a un profumo o a un momento particolare che possa rievocare il legame con ciò che hanno lasciato”.
Hai in programma altre pubblicazioni in futuro?
“La scrittura è un viaggio continuo, e mi piace l’idea che il prossimo libro sia sempre il miglior modo per esplorare nuove idee e temi. Sarà una sorpresa… anche per me”.
Vi lascio all’esplorazione dei luoghi di Domenico Cornacchia.
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David Ferrante
Scrittore e sociologo, appassionato studioso e divulgatore della cultura popolare. Ha all’attivo diversi scritti d’impronta sociologica tra i quali due monografie pubblicate dalla Tabula fati e vari saggi all’interno di collettanee edite dalla Franco Angeli, dall’Università d’Annunzio di Chieti, ecc.
Tra i suoi lavori dedicati agli aspetti magici e leggendari della cultura popolare, oltre a diversi racconti, il saggio Tradizioni, riti e sortilegi del 24 giugno. San Giovanni Battista nella cultura popolare abruzzese (2018-2020). È ideatore e curatore delle antologie L’Ammidia. Storie di Streghe d’Abruzzo (2019), Fate, Pandafeche e Mazzamurelli. Storie di miti, superstizioni e leggende d’Abruzzo (2020) e Magare. Storie di Streghe d’Abruzzo v.2.
Nel 2022 esce la sua prima silloge personale Il dolore della luce. Racconti di streghe, fantasmi e d’amore in cui reale e irreale, amore e crudeltà cercano un punto d’incontro e di fusione.