Come noto il 18 giugno 2013 è entrata in vigore la Legge 11 dicembre 2012, n. 220 recante “Modifiche alla disciplina del condominio negli edifici” che rinfresca la normativa degli immobili in condominio regolata dal codice civile del 1942. Tante le novità di quella che per molti “addetti ai lavori” è una riforma storica, non solo perché attesa da almeno 70 anni, ma soprattutto perché ha l’ambizioso obiettivo di adattare la legislazione alle esigenze imposte dai cambiamenti sociali e di costume: dalla scomparsa delle famiglie numerose al moltiplicarsi dei single in appartamento, dalle necessità legate all’avvento della tecnologia al rapporto dei condomini con le parti comuni. L’innovazione più interessante e curiosa è senz’altro quella apportata dall’articolo 16 della legge che integra l’articolo 1138 del Codice Civile con la disposizione: ”Le norme del regolamento condominiale non possono vietare di possedere o detenere animali da compagnia”.
Si aprono così le porte delle nostre case agli amici a quattro zampe con il confinamento delle clausole negoziali che ne limitano la presenza negli edifici condominiali. La novella, come spesso accade, trae spunto da vicende realmente accadute, sfociate in controversie risolte da un giudice.
Tra le varie pronunce che hanno ispirato la riforma vanno senz’altro annoverate la sentenza 15 febbraio 2011, n.3705 della Corte di Cassazione che ha stabilito che per vietare la presenza di animali all’interno di una abitazione privata in un condominio e nelle parti comuni dello stesso occorre l’unanimità nelle decisioni dei condomini e il decreto 13 marzo 2013 della IX Sezione Civile del Tribunale di Milano che, nel riconoscere gli animali come “esseri senzienti” e non “cose”, ha considerato legittima la facoltà dei coniugi in sede di separazione di stabilire la permanenza presso l’una o l’altra abitazione del cane o del gatto e di prevedere le spese necessarie per il relativo mantenimento. Libertà assolute, dunque, per i nuovi “inquilini” ed i loro padroni? La norma sicuramente amplia in maniera apprezzabile il diritto di esistenza degli animali domestici nei nostri spazi se si considera, ad esempio, che non sarà possibile catturare e allontanare le colonie feline dalle aree condominiali, a meno che non si tratti di interventi sanitari o di soccorso motivati. Tuttavia ciò senza disconoscere le regole di buona educazione e rispetto reciproco.
La legge impone, infatti, che il diritto a tenere con sé l’animale di compagnia sia coniugato al dovere di conformarsi alle regole della buona convivenza prevedendo sanzioni per tutte le condotte che provocano il danneggiamento di cose mobili o immobili altrui o in comune con altri condomini. Ed allora l’uso delle zone condominiali comuni, come il cortile, potranno essere utilizzate solo se l’animale è educato all’ordine e se il padrone è accorto al suo igiene e alla sua pulizia. Inoltre, resta ferma la facoltà del proprietario dell’immobile di inserire nel contratto di locazione il divieto a detenere un animale domestico. Insomma, in fin dei conti, la legge propone la solita ricetta: maggiori libertà e diritti a scapito di una piccola dose in più di tolleranza, nel tentativo di accontentare tutti (animali compresi) con il minor sacrificio possibile. Sarà la volta buona? Chissà … fatto sta che è notizia di qualche giorno fa che in provincia di Reggio Emilia ai padroni di un labrador è stato richiesto il pagamento di 15 euro mensili in più per le spese di gestione del condominio. Motivazione? Anche il cane, come gli altri inquilini, utilizza l’ascensore e consuma l’acqua!
Di Nicola Paolo Rossetti – (Presidente giovani avvocati Teramo)