UNIONI CIVILI E CIVILTA’: NON BASTA UNA LEGGE PER EVOLVERSI

di Mira Carpineta

Finalmente è legge: le civili per le coppie omosessuali (eufemismo per indicare un istituto molto simile al matrimonio)  e convivenze di fatto, per gli etero,  meno tutelate.  La legge traccia due corsie diverse per le famiglie di fatto, presenta numerose lacune ed è il risultato di una mediazione che nell’applicazione solleverà molti quesiti e poche risposte.

Un percorso lungo e ostacolato da due principali modi di “vedere” la situazione. Da un lato la richiesta, legittima, di maggiori tutele per  scelte di vita diverse dalla consuetudine, dall’altra le paure, altrettanto legittime di dare origine  ad  aberrazioni con l’uso improprio di un aleatorio diritto.

Le coppie di fatto. La scelta del personale percorso di vita è sacrosanta. In un paese cosiddetto civile, la libertà di esprimere il proprio pensiero, le proprie scelte, laddove queste non vadano a ledere altrui libertà, è sancito in genere dalla carta costituzionale. Basterebbe questo, se applicato, a superare dibattiti, scontri, demagogie politiche,  che alimentano soltanto il populismo della peggiore accezione.

Infastidisce un po’ il  continuo giustificare ogni azione legislativa con la retorica degli “altri paesi più evoluti”. Infastidisce perché questo richiamo viene usato solo ad uso e consumo di un obiettivo di parte. Bisognerebbe prendere esempio dagli altri paesi anche per altre buone pratiche, non solo quelle che ci convengono al momento e allo schieramento politico.

La sacralità dei diritti fondamentali dell’individuo è stata,  più volte nella storia, declarata, ratificata, sancita. Dalle Costituzioni, come si diceva o da documenti universali come la Carta dei Diritti dell’Uomo, voluta dalle Nazioni Unite e simili.

Ma non bastano evidentemente. Occorre entrare in profondità, occorre lottare comunque perché questi principi trovino applicazione pratica e quotidiana, nelle azioni del vivere comune. La Legge sancisce, l’Uomo applica, o almeno dovrebbe. Ciò non sempre accade perché il principio generale deve, poi,  trovare riscontro oggettivo nella situazione, che a sua volta deve sottostare al giudizio interpretativo del principio.

La famigerata “burocrazia” altro non è che il famigerato “burocrate”. Soprattutto quello talmente ligio al dovere da trovare l’ ago nel pagliaio ed emettere una multa sproporzionata, ma non altrettanto ligio nel fermare  l’iceberg  prima che affondi il Titanic.

Così adesso non ci resta che vedere i prodotti di questa legge, perché saranno solo questi a definirne la “civiltà”.