Intervista a Stefano Traini, ricercatore presso la facoltà di Scienze della Comunicazione, e a Chiara Palmieri, ricercatrice nella facoltà di Veterinaria. Entrambi hanno aderito alla lettera dei ricercatori degli studi di Teramo inviata al Rettore dell’Ateneo. Entrambi, nei diversi settori, umanistico e scientifico, continuano a lottare per migliorare le cose in un sistema che deve essere efficiente sì ma non con obiettivi fini a se stessi.
Come giudicate la riforma Gelmini?
Chiara Palmieri: “A parte le questioni sulla carriera che sono marginali, mi preoccuperei di più di approfondire il problema che riguarda i fondi alla ricerca. Noi adesso stiamo trovando nuovi canali per averne, ma è difficile rientrare nelle graduatorie concorsuali, perché ci vogliono delle buone strutture. Senza queste possibilità, però, non è più possibile lavorare.
Stefano Traini: Il cambiamento dei meccanismi concorsuali con reclutamento di idoneità al livello nazionale, è positivo, in quanto elimina il “meccanismo locale” che è, a mio dire, opaco. L’aspetto negativo è che ci sono attualmente 25.000 di ricercatori a tempo indeterminato, che non avranno più una collocazione. L’obiettivo a cui tende la Riforma è ridurre gli sprechi. Questo va bene, ma tagliare tutto è un altro conto. Non è facile, ma bisogna razionalizzare i tagli senza arrivare a strozzare gli atenei. Le proteste quando si fanno potrebbero funzionare.
Perché bloccare la didattica?
C.P.: Teoricamente fino ad ora abbiamo fatto lezione per volontariato. Abbiamo deciso di bloccare la didattica per fare un atto di protesta. Inoltre, con la nuova riforma, diventa obbligatorio fare lezione, e ciò porta a sminuire la figura del ricercatore. Fare lezione, significa sacrificare tempo.
S.T.: Per far capire la nostra importanza. Per il momento però, abbiamo deciso di ripartire con le lezioni e di prendere tempo perché il disegno di legge si è arenato. Per i prossimi due o tre mesi consentiremo a pochi ricercatori di andare in aula, mantenendo il pacchetto di maggioranza, che verrà rilanciato al secondo semestre. Da noi c’è massima disponibilità nel trovare dei compromessi.
Cosa pensate del concetto di meritocrazia ribadito più volte nella Riforma?
C.P.: Non sono contraria, purché le valutazioni siano obiettive. Temo però che se verrà applicato questo criterio ci sarà comunque l’influenza di qualche “barone”. Sono stata a Praga ed in California, lì trovi l’ottimizzazione del lavoro, ognuno fa quello per cui è stato assunto, ed in più il sistema è efficiente, se chiedi delle cose il giorno dopo arrivano; non si perde nella burocrazia o mancanza di fondi.
S.T.: È un aspetto indubbiamente positivo, speriamo vada ad intaccare la “gerarchia baronale”.
Temete l’ accorpamento con altre facoltà?
C.P.: Si parlava di un accorpamento con la facoltà di Pescara, ma sinceramente non credo sia un problema, l’importante è avere la possibilità di lavorare bene.
S.T.: Per il momento non abbiamo la necessità di doverci accorpare. In realtà, credo che i piccoli atenei si dovrebbero organizzare per accogliere delle nicchie di specializzazione, in modo da mantenere una certa competitività. Bisogna giocare su servizi o progetti di ricerca specifici. Solo così riusciremo a tenere testa a realtà più grandi.
Perché proprio i ricercatori si sono fatti carico di questa battaglia?
C.P. : Si è spostata l’attenzione sulla nostra categoria, ma i primi ad essere realmente discriminati sono gli studenti, perché questa è una riforma globale. Noi forse non siamo riusciti a farci capire oppure non siamo stati supportati a sufficienza dall’inizio. Adesso però, vediamo solidarietà da parte di molti.
S.T.: I primi a muoversi sono stati i ricercatori perché non hanno più visto davanti a loro una prospettiva. Il problema dei ricercatori va avanti da 30 anni ormai, e l’urgenza grave ha portato a concentrare l’attenzione su di noi. I professori ordinari ed associati ci hanno dato tanta solidarietà, però poi ognuno ha il suo ruolo. Anche il preside di facoltà ci capisce, ma la sua prima preoccupazione e far sì che il sistema vada avanti e funzioni.
Quale è il fulcro della vostra protesta?
C.P.: Vogliamo che sia riconosciuto il nostro ruolo giuridico, che si dia più importanza alla ricerca e che ci vengano erogati fondi e strutture per continuare.
S.T.: Se la riforma dovesse passare chiediamo che tra 5 anni ci siano dei concorsi che permettano, almeno ad alcuni ricercatori, di avere la possibilità di passare a contratti da ricercatore associato. Sono stati promessi 9.000 concorsi, ma questo è un dibattito aperto, perché comunque ci vogliono fondi che non ci sono.
Perché è importante la ricerca?
C.P: Non saprei neanche spiegare perché uno si entusiasma per una determinata cosa. Secondo me il fatto di scoprire nuove cose oppure di poter raggiungere alcuni obiettivi, ha sempre un fine alto e dunque va eseguito.
S.T.: Il progresso è legato alla ricerca. Alcuni settori, come quelli in campo scientifico, portano dei risultati immediati con riscontri pratici evidenti. L’evoluzione passa però anche attraverso quella ricerca non finalizzata, di alcune materie umanistiche, che comunque deve essere preservata. Questo tipo di ricerca però, non avendo effetti immediati, la si rilega a ruolo marginale. Se ci si aspetta un miglioramento del vivere civile e si desidera un progresso culturale, anche in un momento di difficoltà, non bisogna smettere di investire sulla cultura. L’istruzione è un elemento fondamentale per la crescita del plurale. Alzare il livello culturale del paese porta benefici, anche economici.