Di quei venti anni passati a dirigere la Squadra Mobile, Matteo Del Fuoco ricorda con emozioni ancora vibranti, i suoi rapporti con la tifoseria teramana, gli Ultras, i Devil Korps, e le “battaglie ” combattute dentro e fuori lo stadio comunale. Ancora oggi sui muri della città riaffiorano testimonianze, con le scritte ormai sbiadite,
che anticipavano o commentavano gli esiti delle partite, a ricordare una mitica stagione sportiva,con il Teramo in C1, mai replicata. Un tifo che coinvolgeva adulti e ragazzi, padri e figli, accomunati dall’euforia di un momento magico e alle fortune di una squadra. Tifo colorito e colorato, energico ed esuberante, fatto di canzoni e di striscioni, ancora non fisicamente violento. “La percezione del cambiamento avvenne con l’arrivo di contaminazioni esterne allo sport, prima fra tutte la droga e poi la politicizzazione del tifo – esordisce Matteo Del Fuoco, nel riprendere il racconto delle sue memorie teramane – In molti adulti di oggi è ancora vivo il ricordo dei derby, le partite Teramo- Giulianova che vedevano tutte le tifoserie prepararsi agli appuntamenti sportivi con grande fervore. La vigilanza della Polizia cominciò ad avere un ruolo sempre più importante per contenere l’espandersi dei fenomeni più violenti”. Il vice questore, autorità preposta all’emissione dei Daspo (i provvedimenti di espulsione), diventa l’antagonista numero uno: “Vedevano in me il cattivo della situazione, quello che scortava le tifoserie tenendole separate, e impedendo qualsiasi contatto tra le parti che potesse dare origine a scontri. In realtà, oltre alla vigilanza, il nostro ruolo era anche e soprattutto di prevenzione”. Tra le scritte sui muri qualcuna era dedicata anche a Del Fuoco, con auspici non proprio amichevoli, se non quando erano vere e proprie minacce. Ma tra quei ragazzi arrabbiati, vittoriosi o sconfitti, a seconda delle giornate calcistiche, non è mancato chi ha invece apprezzato l’impegno di un poliziotto che nel suo lavoro ha portato oltre al dovere anche la visione del futuro. “Ricordo – conclude del Fuoco – che quando si iniziò a progettare il nuovo stadio, nella consulenza richiestami per la sicurezza dell’edificio, espressi chiaramente l’idea che lo stadio dovesse trasmettere un messaggio di aggregazione, che le reti di separazione delle tifoserie sicuramente non davano. Le reti andavano tolte, a mio avviso, proprio per educare i giovani e gli sportivi ai valori di condivisione degli eventi. Un messaggio prima di tutto culturale, in mancanza del quale si verificano spesso strumentalizzazioni negative. L’atmosfera con cui si viveva il tifo cominciò a cambiare proprio quando vi entrò la politicizzazione, una stagione che corse il rischio di segnare per sempre le vite e le fedine penali di alcuni giovanissimi tifosi”.