JAZZ AL VINO ROSSO

Arturo Valiante, Jazz al vino rossoSerata musicale tra freddo e sentori di neve, jazz al vino rosso, tutto francese, alla sala della fratellanza artigiana. La serata rischia di passare inosservata a  causa dello sfaccendare quotidiano e degli acquisti pre-natalizi. In realtà è l’occasione per un consueto appuntamento annuale e la sala presto si riempie per il nostro pianista jazz Arturo Valiante, in una formazione quasi inedita con Bruno Marcozzi (batteria), Walter Monini (basso elettrico)

e la suadente voce nera di Awa Ly (con cui invece collabora da tempo). Con le prove ancora in atto, l’intervista si consuma in appena dieci minuti, prima dell’inizio del concerto. Occorre “swingare” per bene sulle domande e concentrarsi sull’indispensabile. Arturo Valiante pianista jazz, questa sera in versione musica francese… “È perché le canzoni di una volta si prestano maggiormente ad una interpretazione jazzistica: quelle francesi poi sono evocative di tutta un’atmosfera particolare. Ci si può giocare più facilmente e quindi si possono reinventare ogni volta: funzionano sempre!” Come nasce un pianista jazz? “Per caso o per destino. Da piccolo avevo la tastierina Bontempi con giusto quattro ottave: ho cominciato così. Poi gli studi classici, al Braga (prof.ssa Vicari). Finché cominci a divertirti così tanto a suonare da credere di poterci anche lavorare. Mi sono lanciato a Roma, obiettivo perfezionamento. E, soprattutto, jazz, che intanto avevo scoperto nel 1983 con una  masterclass estiva”. Però, se non sbaglio, ti vediamo piuttosto concentrato sulle canzoni e non solo sulla sperimentazione. Anche a giudicare dalle recenti  collaborazioni. “È vero, la canzone è qualcosa che mi attrae tantissimo come forma espressiva. In poco può dire tanto e può avere risorse musicali sorprendenti,  anche se l’evoluzione sperimentale mi piace eccome”. Insomma, un po’ Keith Jarrett e un po’ Bill Evans? “Proprio così, i miei due modelli!” Nella canzone, come pianista, devi accompagnare la voce principale: quindi non sei il protagonista assoluto. Cosa significa l’accompagnamento? Che sensibilità richiede? “Personalmente, accompagnare mi piace tantissimo. È una sensibilità tutta diversa: richiede una grande capacità di ascolto sia per quanto riguarda la ritmica che  la timbrica. Devi intuire qual è l’ispirazione del solista e seguirlo, spianargli la strada. E poi quando è il tuo momento di avere un ‘solo’ devi ricordarti di quello che  il solista ha proposto e ricamarci sopra…” Hai suonato anche con Giorgia. “Ebbene sì, ma non solo. Però lei è davvero una cantante straordinaria, con  un’intonazione pazzesca come anche pazzesca è la sua musicalità. Ti dico: è nato tutto strada facendo… e in questo Roma aiuta tantissimo ad avere contatti e, artisticamente parlando, permette di lavorare abbastanza”. Un disco jazz che ci consigli. ” Ballads, di John Coltrane. Indubbiamente”. Da ascoltare con un goccio di whiskey o un calice di vino? “Vino, vino… da centellinare nota per nota”.