Il 25 novembre è stata la “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”. Le giornate dedicate a questo o quel problema sociale si moltiplicano, ma questa – a parte la retorica del vocabolo “eliminazione” – ha in questo periodo una risonanza speciale forse perché suscita una indignazione crescente la violenza
domestica di uomini apparentemente bravi cittadini, il più delle volte innamorati delle loro moglie e capaci in un impeto di rabbia di ucciderle per motivi futili. Di fatto muoiono – e il silenzio su questo punto di chi dovrebbe parlare da cattedre e pulpiti è assordante – troppe mogli, amanti, madri di famiglia, ree il più delle volte di non corrispondere all’amore, di rifi utare un rapporto, di suscitare attese e pretese immaginarie. Non va trascurata l’influenza della pornografia in questo gonfiarsi di attese nei confronti di donne-madri normali, supposte ninfomani per l’immaginario del mercato del sesso. L’opinione pubblica è scossa dalla scomparsa di ragazzine, dai fenomeni della tratta, del turismo sessuale, delle spose bambine, dei matrimoni che coprono l’acquisto di domestiche a basso costo… Vi è una naturale reazione contro quella violenza, che é frutto dell’associazione forza-sessopotere, perché in questi casi si stabilisce una ferita profonda alla relazione uomo donna che è fondante tutti gli latri rapporti. La confusione tra amore e uso della forza intacca nell’intimo le relazioni di fiducia tra le persone, tramutando l’amore in odio incontrollato, violento e improvviso, come muta nel romanzo il Dr Jekyll in Mister Hyde. E’ sempre poco quello che si fa per correggere queste distorsioni che inquinano la vita sociale e ne lacerano il tessuto connettivo. In particolare nei confronti della tratta di donne dai paesi cosiddetti “sottosviluppati” verso i paesi cosiddetti “sviluppati” abbiamo tutti responsabilità gravissime, se non dirette almeno di omissione. Per questo dobbiamo essere grati a quanti lavorano concretamente arrivando là dove noi non possiamo o non riusciamo ad arrivare. Consociamo l’opera della comunità Giovanni XXIII, mentre poco conosciuti sono gli sforzi immani delle religiose che dedicano la loro vita ad aiutare altre donne così bersagliate dalla sorte. Ne citiamo una: l’Unione Superiore Maggiori d’Italia (USMI) ha nominato Suor Eugenia Bonetti che per 24 anni è stata missionaria in Kenia e ha conosciuto decine e decine di donne sfruttate, rapite, violentate, responsabile dell’Ufficio tratta. Attualmente coordina una rete di circa 250 suore di 75 congregazioni diverse, con 110 fase di accoglienza per ex prostitute. Suor Eugenia nel libro che la editrice San Paolo e in cui ha descritto la sua esperienza insieme ad Anna Pozzi (giornalista che sostiene il progetto “Mai più schiave” sulle donne nigeriane) le ha chiesto e che si intitola significativamente “Schiave” sostiene: “Più di 5 mila donne sono uscite in questo modo dalla prostituzione”. Suor Eugenia riporta dati e analizza fenomeni sociali mettendo in luce il lavoro di suore che realizzano la sorellanza effettiva, non quella proclamata di certi salotti femministi e sbandierata dai mass media, ma quella concreta, silenziosa, feriale di donne che non hanno alcun potere di fare leggi e decreti, di argomentare e defi nire dottrine, ma vivono contattando una persona alla volta, da accogliere com’è, il più delle volte stravolta e abbrutita dalle violenze subite, e le restituiscono pian piano, a forza di amore e di servizio, la voglia di vivere, la dignità, il gusto di sognare un avvenire diverso.