Una ricerca del Consiglio d’Europa afferma che l’aggressività maschile è la prima causa nel mondo di morte violenta e di invalidità permanente per le donne fra i 16 e i 44 anni. Più del cancro. Più degli incidenti stradali. La cronaca ci presenta continui casi drammatici. Si ha persino l’impressione che taluni giornalisti ci prendano gusto a fare uno scoop sulle spalle
delle donne: una ragazza incinta viene sepolta viva dall’amante, che non vuole affrontare lo scandalo; un fratello uccide la sorella, rea di non aver obbedito al diktat matrimoniale della famiglia; una ragazza viene prima data per scomparsa poi ritrovata uccisa da tre coetanei perché incinta; un immigrato pakistano uccide la figlia, aiutato da altri parenti maschi, una donna fatta a pezzi e gettata in un fosso… Innumerevoli episodi di stupro da parte di giovani immigrati e di mariti e fi danzati italiani contro compagne in procinto di lasciarli, senza contare i diffusi comportamenti persecutori di mobbing e stalking. I casi registrati non rappresentano che la punta dell’iceberg, giacché è noto che più del 90% delle donne maltrattate non sporge denuncia per paura di ritorsioni, per non denunciare chi ama, per timore del giudizio boomerang dell’ambiente. Non ci sono barriere geografi che, economiche, culturali: è un problema del Sud del mondo come dell’Occidente opulento. Le vittime non sono affatto donne degli strati più poveri, ma anche laureate e diplomate, dirigenti e imprenditrici. Gli uomini sono spesso signori per bene, che salutano gentilmente quando scendono le scale del condominio e che si rivelano degli aggressori a casa. Come è possibile pensare di combattere la violenza, con la sola azione penale che ha mostrato di avere così limitata incidenza? Si fa abbastanza sul piano culturale? Di certo persistono una tendenza al fatalismo e una deplorevole tolleranza della violenza nel matrimonio, causa di omicidi, di patologie conclamate e di aborti. Colpiscono le condanne generiche, che parlano di incidenti isolati, in situazioni particolari di arretratezza e emergenza, quando non si attribuisce la colpa alla vittima e si concede l’impunità ai colpevoli. Addolora il silenzio assordante della Chiesa. Le campagne di sensibilizzazione internazionale hanno avuto impatto deludente. La richiesta del Parlamento europeo di proclamare un «Anno europeo contro la violenza verso le donne» non è stata accolta. Per contro le organizzazioni convocate a New York hanno lanciato un messaggio chiaro: le violenze contro le donne costituiscono violazioni dei diritti umani e impegnano la responsabilità dei governi. Bisognerebbe però evitare la tendenza a generalizzare, inducendo a pensare che quasi tutte le donne siano oggetto di violenza e che la famiglia sia il luogo di coltura per eccellenza. Andrebbe rispettata la proporzione tra violenza nelle famiglie e le violenze intenzionalmente programmate come: prostituzione coatta, turismo a sfondo sessuale, offerta di mogli-schiave dai PVS al mercato europeo, stupri, mutilazioni genitali. Aggiungeremmo anche violenze solitamente meno evidenziate, come i programmi di controllo obbligatorio delle nascite, la sterilizzazione e l’uso forzato di anticoncezionali, l’incitamento ad abortire, l’utero in affi tto, la pianifi cazione verticistica sul corpo delle donne, specie più povere. C’è chi teme – non senza ragioni – che si finisca con l’indebolire la famiglia, specie se in contrapposizione si esaltano modelli alternativi, quali l’omosessualità “gentile”, rispettosa e intelligente… Da una parte c’è il problema dell’entità del fenomeno e dall’altra le azioni di contrasto per lo più punitive. Quale è l’impegno per la prevenzione dei modelli di dominio nelle relazioni tra i sessi? Si fa qualcosa per cambiare la mentalità maschile? Questa comunque è una battaglia persa se mira solo al Palazzo, trascurando il modo di pensare, comunicare, litigare, amarsi tra uomini e donne. Gianna Agostinucci Campanini descrivendo in un suo famoso articolo tre modelli di neofemminismo, radicale, marxista e cristiano, aveva scritto che quest’ultimo non prevedeva “la lotta contro il maschio… ma la lotta comune di uomini e donne” per una società migliore.