Se è vero che “noi siamo ciò che siamo ma, spesso, diventiamo ciò di cui ci circondiamo”, allora è fondamentale circondarsi di bellezza, ogni volta che è possibile.
La bellezza del centro storico di Atri, uno dei più affascinanti della nostra provincia, fa da cornice in una splendida serata alla bellezza delle opere di Caravaggio, delle parole ribelli di Pier Paolo Pasolini, delle intuizioni etiche ed estetiche di Vittorio Sgarbi.
Michelangelo Merisi, pittore del popolo, “incontra” Pier Paolo Pasolini, poeta del popolo, soltanto all’inizio del 1950, quando il primo viene riscoperto dalla critica Italiana con una mostra milanese ( “Mostra del Caravaggio” ) e il secondo ascende agli onori della cronaca in virtù del suo primo grande romanzo “Ragazzi di Vita”.
E sono proprio i “ragazzi di vita”, giovani della Roma popolare, cantati da Pasolini e ritratti da Caravaggio, a rappresentare uno dei trait d’union tra il pittore e il poeta.
Caravaggio, in totale antitesi alla moda del Suo tempo, scende nei bassifondi e nelle taverne, lì dove si respira la vita scevra delle regole e delle ipocrisie cattoliche e borghesi e rende le persone che popolano questa vita sotterranea protagonisti della storia.
La taverna, allora, diviene scenario di episodi evangelici, come nella conversione di San Matteo, dove Cristo viene proiettato in un’ambientazione da sobborgo e lì si manifesta agli uomini, non altrove, lì dove effettivamente Cristo dovrebbe apparire, prima che altrove.
Il popolano presta il volto a personaggi mitologici come nel caso del “Bacchino Malato” in cui un ragazzo emaciato e roso dalla malattia offre le sue sembianze al Dio Romano dell’Ebrezza.
La notizia di cronaca, infine, diventa immortale nelle divine pennellate di Caravaggio nel momento in cui una donna malauguratamente annegata nel Tevere viene ritratta e resa eterna ne “La Maddalena Penitente”
In un immaginifico turbinio di immagini, suoni e parole, in un’ora e mezza, Vittorio Sgarbi, novello Plutarco, opera uno stupendo parallelo tra l’opera di Caravaggio e quella di Pasolini e si rimane quasi a bocca aperta nello scoprire che il volto di “Ragazzo con Cesto di Frutta” assomiglia in modo straordinario a Ninetto Davoli, che il “Bacchino Malato” innanzi citato ha le sembianze di Franco Citti protagonista di “Accattone” e che il fanciullo di “Amor omnia vincit” è identico nell’espressione da “impunito” addirittura a Pino Pelosi, presunto assassino di Pasolini.
Pasolini e Caravaggio sono uniti anche e soprattutto nella loro volontà profonda di essere “diversi”, anche nelle scelte personali e sessuali, esaltando fino all’estremo l’unicità di personalità comunque ribelli e antitetiche ad un contesto generale di omologazione che caratterizzava, oggi come allora, il 1600, gli anni ’50 del secolo scorso e i giorni nostri.
La lunga cavalcata di Sgarbi tra le opere di Caravaggio ti ipnotizza fino all’ultima immagine: quella di “Davide con la testa di Golia”, unico autoritratto dell’artista, in cui Michelangelo Merisi preconizza la propria morte offrendo il proprio sembiante alla testa mozzata del gigante Biblico.
E se anche Davide fosse Caravaggio? Se l’ultimo quadro altro non fosse che un auspicio di ritorno alla purezza e all’essenziale in cui il giovane Caravaggio sopprime ed espone la testa dell’ultimo Caravaggio, un uomo ormai logorato dalla vita?
Se quello di Michelangelo – il mio Michelangelo, più grande di Buonarroti – altro non fosse che un testamento lasciato agli uomini di un ritorno alla semplicità delle origini?
Io, personalmente, ho voluto interpretarlo così.
“Sgarbi racconta Caravaggio – Piazza del Duomo di Atri – 26 giugno 2016
Riccardo Panzone