“Nel futuro ogni individuo sarà famoso per 15 min”. Questo il pensiero di Andy Warhol, uno degli artisti più controversi del ‘900. La ricerca della celebrità attraverso il mondo dello spettacolo sembra essere diventata l’unica ambizione dell’italiano medio. Si vive nella società dell’immagine, dove l’apparire è più importante dell’essere. Ma non tutti i mali, spesso, vengono per nuocere. Qui a Teramo, infatti, anno dopo anno, sono nati e cresciuti nuovi laboratori teatrali, alcuni dei quali anche molto validi e accreditati, che vanno incontro al crescente interesse che la gente manifesta nei confronti della recitazione. Tali scuole offrono una preparazione basilare a giovani e non, che vogliono sperimentare le proprie attitudini nel teatro e, inoltre, possono anche rappresentare una concreta opportunità di crescita personale. La nostra cittadina è una di quelle fucine di provincia dove i ragazzi sognano i loro momenti di gloria, aspettando al capolinea degli autobus che li condurranno verso il sogno proibito della Capitale, per tentare, magari, un provino per il cinema. Diversi sono i personaggi che hanno fatto di questa passione il loro lavoro e il loro stile di vita. Giacinto Palmarini, Elisa D’Eusanio, Maria Egle Spotorno, Serena Mattace Raso sono solo alcuni nomi dei tanti attori teramani che lottano quotidianamente con il difficile, e allo stesso tempo affascinante, mondo dello spettacolo. Ma c’è anche chi non percorre questa strada fino in fondo; che fine fanno i ragazzi che scelgono di non continuare? E le persone che scoprono questa passione in un’età non più verde? Le opportunità di fare teatro esistono pure restando confinati nei limiti della provincia. Non ci sono solo lezioni pomeridiane, ci sono anche corsi serali che offrono l’opportunità, per chi lavora, di provare l’ebbrezza del palcoscenico. In più, le tante manifestazioni di paese come le rievocazioni storiche sono occasioni concrete che i frequentatori dei corsi di recitazione sfruttano per fare esperienza e, nel contempo, per togliersi le piccole e grandi soddisfazioni personali. Il palcoscenico è un’ opportunità che abbiamo tutti noi per togliere la maschera, la bautta che, come diceva Pirandello, è insita in ciascuna persona. La quarta parete, la barriera immaginaria attraverso la quale il pubblico spia gli attori, è un’ occasione per scoprire le proprie paure e per superare le difficoltà comunicative tipiche di un mondo che sembra indietreggiare verso l’incomunicabilità. Si accendono le luci, il calore dei fari brucia l’epidermide del viso. Franco, operaio in una fabbrica della zona, si trova d’incanto in una prigione che lo separa dalla vita e si appoggia alla cosa più vicina che potrebbe aiutarlo a interpretare Sigismondo. Pensa a una calda giornata estiva, mentre tutti sono al mare a prendere il sole e rinfrescarsi in acqua, lui è costretto a lavorare, nonostante il rovente clima, visto che gli sono state negate le ferie per non lasciare turni scoperti in azienda. La magia si compie, Franco con la sua fantasia riesce realmente a sentirsi un recluso: “Misero me, me infelice … vorrei sapere cielo perché mi tratti in questo modo”. La stessa cosa potrebbe accadere per Romeo, Amleto, Norma, Arkadina … Ogni personaggio teatrale è dentro l’attore; soffre, ama, pensa, respira con i polmoni dell’interprete. Resta solo una sottile e importante differenza che consiste nell’immortalità dei personaggi. Essi continuano a vivere e a morire, instancabilmente, per l’eternità.